mercoledì 21 novembre 2012

SICUREZZA SOCIALE - BILANCIO INPS: PREVIDENZA: 9,5 MILIONI PENSIONI DI VECCHIAIA (649 EURO MENSILI) ANZIANITA' E PREPENSIONAMENTO, 3,8 MILIONI SUPERSTITI(560), 1,4 INVALIDITA' (590)


Da:http://www.italiannetwork.it/news.aspx?ln=it&id=40156

(2012-11-20)
  Sostegno a famiglie e lavoratori si ' ma il quadro previdenziale mostra forti disomogeneità sociali nel Bilancio INPS presentato oggi a Roma, al CNEL.
Le pensioni previdenziali in pagamento, risultano suddivise in 9,5 milioni di pensioni di vecchiaia,anzianità e prepensionamenti, 3,8 milioni di pensioni ai superstiti e 1,4 milioni di pensioni di invalidità.
L’importo medio di tutte le pensioni di vecchiaia in essere è di 649 euro mensili, mentre quelle di anzianità hanno un valore medio di 1.514 euro mensili.

Per quanto riguarda le altre pensioni previdenziali si evidenzia un basso importo medio: le prestazioni ai superstiti presentano un valore medio mensile di 560 euro, che sale a 599 euro medi mensili per i trattamenti di invalidità.

Nel 2011 per le pensioni assistenziali sono stati spesi 24,6 miliardi di euro (-3,2% rispetto al 2010), di cui 16,2 miliardi – pari al 65,8% – erogati per un ammontare di oltre 2,7 milioni di prestazioni di invalidità civile. In particolare tra le prestazioni a favore degli invalidi civili si riscontra una diminuzione del 10,3% della spesa per pensioni, mentre rimane pressoché stabile la spesa per le indennità (-0,2%).

La spesa per Le pensioni assistenziali pensioni e assegni sociali (in tutto circa 828mila trattamenti) ammonta a 4,2 miliardi circa, in lieve aumento rispetto all’anno precedente (+0,2%).
Le pensioni assistenziali evidenziano il più basso importo medio mensile: 390 euro per la pensione/assegno sociale e 411 euro per l’invalidità civile.

I pensionati Inps, titolari di almeno una prestazione a carico dell’Istituto, sono oltre 13,9 milioni. Circa il 74% percepisce una sola pensione a carico dell’Istituto, poco più del 21% ne percepisce due ed il restante 5% tre ed oltre.
Il 52% dei pensionati Inps riceve una pensione di vecchiaia o di anzianità senza godere di altri trattamenti pensionistici, mentre il 10% e il 5% sono titolari, rispettivamente, di sole pensioni ai superstiti e di invalidità previdenziale. Un ulteriore 11% percepisce unicamente pensioni di natura assistenziale. Il restante 22% cumula 2 o più prestazioni previdenziali o assistenziali.

Nella distribuzione per classi di importo, la metà dei pensionati (52%) presenta redditi pensionistici inferiori a 1.000 euro mensili e il 24% si colloca nella fascia tra 1.000 e 1.500 euro mensili. Un ulteriore 13% riscuote pensioni comprese tra 1.500 e 2.000 euro mensili e il restante 11% gode di un reddito pensionistico mensile superiore a 2.000 euro.

Il reddito pensionistico medio lordo, risultante dalla somma di tutti i redditi da pensione (sia di natura previdenziale che assistenziale) percepiti nell’anno – erogati sia dall’Inps che da altri enti previdenziali e rilevati dal Casellario centrale dei pensionati gestito dall’Istituto – è di 1.131 euro al mese: gli uomini percepiscono 1.366 euro mensili , mentre le donne 930 euro.

Le nuove pensioni liquidate nel corso dell’anno 2011 ammontano complessivamente a 964.487 con un decremento del 14,5% (-163.014 trattamenti) rispetto al 2010 (1.127.501).
I trattamenti di natura previdenziale, pari a 540.334, rappresentano il 56% delle nuove liquidate, con un importo medio mensile di 923 euro (1.153 euro per gli uomini e 685 euro per le donne). Diminuisce complessivamente del 21% il numero delle pensioni di vecchiaia e anzianità, che costituiscono oltre la metà delle nuove liquidazioni (54,5%). Le nuove pensioni di anzianità liquidate nel 2011, presentano valori medi che, per i lavoratori dipendenti, risultano pari a 1.916 euro mensili e per gli autonomi, a 1.295 euro.

Le prestazioni di natura assistenziale liquidate nel 2011, in tutto 424.153, costituiscono il 44% delle nuove liquidazioni, con un importo medio mensile di 412 euro. Il 90% dei trattamenti è rappresentato da erogazioni a favore di invalidi civili (pari a 383.182).

Per i pensionati che si trovano in condizioni reddituali particolarmente disagiate il legislatore ha predisposto, nel corso del tempo, una serie di misure finalizzate ad alleviare la situazione di bisogno che vanno dall’integrazione al trattamento minimo agli assegni al nucleo familiare, alle maggiorazioni sociali ed altri interventi. Le pensioni integrate al minimo (fissato, nel 2011, in 468,35 euro mensili, pari a 6.088,55 euro annui) sono 3,8 milioni, per oltre l’80% destinate a titolari donne, mentre le maggiorazioni sociali sono erogate su 1.185.000 pensioni, per un importo complessivo annuo di 1,7 miliardi di euro.

Sempre nel 2011, circa un milione di pensioni previdenziali ha ricevuto l’assegno aggiuntivo una tantum di 154,94 euro per una spesa complessiva di 147 milioni di euro. Inoltre, su 2,6 milioni di trattamenti è stata erogata la somma aggiuntiva (quattordicesima mensilità) per oltre 1 miliardo di euro, mentre gli assegni al nucleo familiare hanno riguardato circa 1,4 milioni di pensioni per un importo complessivo annuo di 785 milioni di euro.

Quanto alla Carta Acquisti, o Social Card, uno strumento di sostegno ai nuclei familiari in difficoltà economica emesso dall’Inps ma a completo carico dello Stato. Nel 2011, i beneficiari costituiti da anziani e minori sono risultati pari a 535.412 e risultano distribuiti per il 74% nell’Italia meridionale e insulare. L’importo totale erogato ammonta a 207,1 milioni di euro.(20/11/2012-ITL/ITNET)

SPECIALE - Pensioni, previdenza al minimo per una vecchiaia piena di ristrettezze






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SPECIALE - Pensioni, previdenza al minimo per una vecchiaia piena di ristrettezze


Importi bassi, regole che cambiano spesso, timore di perdere il lavoro e di non poter versare i contributi, mentre la previdenza complementare resta poco conosciuta e stenta ad imporsi come secondo pilastro. Ecco perché nell'analisi del Censis

» PrevidenzaRedazione - 19/11/2012
Si tinge di nero l'orizzonte della vecchiaia degliitaliani. Pensioni pubbliche basse e certezza di doverle integrare con strumenti diversi che, per la maggioranza dei lavoratori, sono 'altri' rispetto alla previdenza complementare; e poi la persistente mutevolezza delle regole pensionistiche e la paura di non riuscire comunque a costruire nel tempo una propria posizione per l'inadeguatezza dei propri redditi e/o per la paura di perdere il lavoro. Sono questi, in estrema sintesi, alcuni aspetti del rapporto tra lavoratori e previdenza nella crisi che emergono dai primi dati che anticipano l'uscita di un'ampia indagine del Censis per conto della la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensioni (Covip) su un campione di 2.400 lavoratori tra  dipendenti pubblici, dipendenti privati e lavoratori autonomi. Un quadro a tinte fosche che è la complessa conseguenza di processi di lunga deriva e di altri più congiunturali e, quindi, anche dei reiterati interventi sul sistema, previdenziale in nome del suo recupero di sostenibilità. Nel contesto di crisi, la diffusa paura di perdere il lavoro e soprattutto il crollo della capacità di risparmiare restringe la possibilità di destinare risorse sul futuro e rende molto severo lo scrutinio degli italiani sulle destinazioni dei propri risparmi. 

UNA PREVIDENZA PUBBLICA DI PENSIONI AL RIBASSO. Già oggi la previdenza pubblica è fatta di pensioni basse. Degli 11,6 milioni di pensionati con pensione di vecchiaia, più di 4 milioni (oltre il 35 per cento) beneficia di un assegno pensionistico inferiore a 1.000 euro. Di questi, 741mila (il 6,4 per cento) ricevono meno di 500 euro al mese. E il futuro non sarà più roseo. I lavoratori italiani pensano che quando andranno in pensione riceveranno un assegno pari in media al 55 per cento del proprio reddito attuale. Un quarto dei lavoratori crede che avrà una pensione inferiore al 50 per cento del reddito da lavoro e il 43 per cento che al massimo sarà compresa tra il 50 per cento e il 60 per cento del reddito. 


[Fonte: indagine Censis, 2012]

LE ATTESE ECONOMICHE IN VECCHIAIA...L'OTTIMISMO SUL FUTURO È DEGLI AUTONOMI. Secondo l'opinione del 46 per cento degli attuali occupati si va incontro a una vecchiaia di ristrettezze, senza grandi risorse da spendere: il 24,5 per cento ritiene che non potrà vivere nell'agiatezza, anche se qualche sfizio potrà toglierselo, il 21,5 per cento afferma che la situazione è molto incerta e non riesce a immaginare come sarà la propria vecchiaia. Solo l'8 per cento pensa che potrà godersi un po' di serenità anche grazie a buoni redditi (tab. 1). I dipendenti pubblici e privati sono convinti nella stessa misura (47,9 per cento) che la vecchiaia porterà ristrettezze e tagli alle proprie disponibilità, mentre è meno del 40 per cento dei lavoratori autonomi a pensarlo; gli autonomi sono più ottimisti, con quasi il 12 per cento che ritiene che avrà redditi adeguati per una vecchiaia serena ed il 29,4 per cento che si dice convinto che avrà abbastanza per togliersi qualche sfizio. Pochi sembrano ritenere che all'innalzamento dell’età pensionabile corrispondano pensioni più alte. In media i lavoratori italiani pensano che la propria pensione pubblica sarà pari al 55 per cento del proprio reddito da lavoro(cosiddetto tasso di sostituzione) (tabb. 2). In particolare:

• circa il 25 per cento dei lavoratori pensa che la pensione pubblica che percepirà sarà pari a meno del 50 per cento del proprio reddito;

• oltre il 43 per cento tra il 50 e il 60 per cento del proprio reddito;

• il 18,4 per cento tra il 61 e il 70 per cento del reddito;

• il 12,3 per cento tra il 71 e l'80 per cento del reddito e una quota risicata (l'1,1 per cento) pensa che avrà oltre l'80 per cento di pensione pubblica rispetto al reddito.

Riguardo alle aspettative delle diverse tipologie di lavoratori, i dipendenti pubblici si aspettano una pensione pubblica pari al 62,2 per cento del reddito da lavoro, i dipendenti privati una pensione pubblica uguale al 55,5 per cento del reddito da lavoro e gli autonomi pari al 50,6 per cento.


[Fonte: indagine Censis, 2012]
CONTRATTO DIVERSO, DIVERSE ASPETTATIVE. Spiccano le diversità di aspettative in relazione alla tipologia contrattuale del lavoro svolto: una pensione inferiore al 50 per cento del proprio reddito sono convinti che l'avranno il 33 per cento di autonomi, il 24,6 per cento dei dipendenti privati e l'11 per cento dei dipendenti pubblici. Pensano invece che percepiranno una pensione pubblica pari al 50-60 per cento del reddito quasi il 40 per cento dei lavoratori pubblici, quasi il 44 per cento dei dipendenti privati e una stessa quota tra gli autonomi. Tra il 60 e 70 per cento del reddito pensano che avranno la pensione pubblica il 25,5 per cento dei dipendenti del pubblico, il 18,4 per cento dei privati e il 14,3 per cento degli autonomi; una pensione pubblica come quota tra il 71 per cento e l'80 per cento del reddito pensa che l’avranno il 23 per cento dei pubblici, circa il 12 per cento dei privati e il 7 per cento degli autonomi.


[Fonte: indagine Censis, 2012]

Esaminando per classi di età il tasso di sostituzione atteso si evidenzia che in media tutte le fasce si attestano intorno al 53-55 per cento; sono i lavoratori più anziani, 55-64enni, ad attendersi un valore più alto. In media i 18-34enni si attendono un tasso di sostituzione del 53,6 per cento. Di questi, circa il 30 per cento si aspetta una pensione pubblica di valore inferiore al 50 per cento del reddito. I 45-54enni si attendono un tasso di sostituzione medio del 55 per cento mentre i 55-64enni del 60,1 per cento; il 23 per cento di questi ultimi si aspettano una pensione pubblica pari ad almeno il 70 per cento del reddito (tab. 3).
 

Lavoratore statale part time: pensione ridotta in proporzione alle ore lavorate




lunedì 19 novembre 2012 - 12:22:24 PM
Fonte: www.laprevidenza.it
Lavoratore statale part time: pensione ridotta in proporzione alle ore lavorate
1. Nell'unico motivo l'INPS deduce violazione ed erronea interpretazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 185 e 187, in una con vizio di motivazione. Censura la sentenza impugnata per aver interpretato il comma 185 come affermativo - per i lavoratori che usufruiscono della facoltà (prevista dalla suddetta disposizione normativa) di acquisire la pensione di anzianità, trasformando il rapporto di lavoro in rapporto a tempo parziale - di una garanzia di intangibilità della pensione nell'importo minimo del 50%. In realtà, prosegue l'INPS, la norma di legge in questione non contiene affatto una simile previsione - riferendosi l'espressione "..riduzione comunque non superiore al 50%...", nella stessa contenuta, non già all'importo della pensione, bensì all'orario di lavoro, come, peraltro, è espressamente previsto nel D.M. n. 331 del 1997, secondo cui "..la prestazione a tempo parziale ...è fissata in misura non inferiore al 50% dell'orario pieno".
2. Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso, formulate dai controricorrenti ai sensi degli artt. 366 e 366 bis c.p.c., e con cui si deduce, per un verso, che, in questa sede, l'INPS ha completamente mutato la propria impostazione difensiva, avendo sostenuto nei giudizi di merito, che la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 185 stabilisce l'intangibilità del 50% della pensione; e, sotto altro profilo, che nel motivo di ricorso non sono individuate le statuizioni della Corte di merito sottoposte a censura.
3. Entrambe le eccezioni sono prive di fondamento, posto che, all'evidenza, il ricorso censura la statuizione della Corte territoriale che ha interpretato la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 185 come impositivo della regola della intangibilità, nella misura del 50% della pensione da liquidare ai dipendenti che abbiano optato per la trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time;
prospetta, quindi, una questione di diritto che, pur se non dibattuta nelle precedenti fasi di merito, è per certo deducibile in questa sede, non richiedendo nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto, nè implicando una modificazione dei termini della controversia attraverso la riconsiderazione degli aspetti fattuali della vertenza già valutati dai giudici del merito (cfr. Cass. n. 20005 del 2005;
n. 9812 del 2002, n. 3881 del 2000, n. 13256 del 1999, n. 6356 del 1996).
4. Tanto precisato osserva la Corte che il ricorso dell'INPS merita accoglimento per le seguenti considerazioni.
5. la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 185 in deroga al regime di non cumulabilità di cui al successivo comma 189, ha previsto per i lavoratori privati in possesso dei requisiti di età e di contribuzione indicati nella tabella B allegata alla L. n. 335 del 1995 per l'accesso al pensionamento di anzianità, l'eccezionale - all'epoca - facoltà di acquisire il trattamento di pensione trasformando il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e cumulando i benefici economici di quest'ultimo rapporto con il trattamento di pensione acquisito.
6. La disposizione di legge in esame stabilisce i criteri di cumulabilità come segue ".. l'importo della pensione è ridotto in misura inversamente proporzionale alla riduzione dell'orario normale di lavoro, riduzione comunque non superiore al 50%. La somma della pensione e della retribuzione non può in ogni caso superare l'ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di altre condizioni, presta la sua opera a tempo pieno".
7. Il successivo comma 187 dello stesso art. 1 estende il beneficio del cumulo al personale delle amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 1, comma 2, demandando a un decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del tesoro, l'emanazione delle norme regolamentari necessarie per la definizione dei criteri e delle modalità applicative di quanto disposto al comma 185.
8. A tale disposizione di legge è stata data attuazione con l'adozione del D.M. 29 luglio 1997, n. 331.
9. Si vuoi sostenere dagli odierni controricorrenti che la norma di cui al comma 185 intende garantire ai lavoratori, che esercitino la ivi prevista opzione, la intangibilità della pensione nell'importo minimo del 50%, purchè (ultimo capoverso del comma 185) la somma tra pensione e retribuzione non superi l'ammontare della retribuzione spettante per il rapporto di lavoro a tempo pieno. Ma una simile interpretazione, che è la stessa cui è pervenuta la sentenza della Corte d'appello qui impugnata, non è consentita dal testo normativo, il quale, letto nel complesso delle sue articolazioni, con applicazione del criterio logico sistematico, mostra che il legislatore ha inteso riferire il limite della riduzione comunque non superiore al 50% non già all'importo della pensione, bensì alla misura dell'orario del rapporto di lavoro a tempo parziale.
10. Già questo intento è reso evidente dalla formulazione letterale del comma 185, dove l'indicata espressione segue immediatamente quella in cui la riduzione è esplicitamente riferita all'orario normale di lavoro che quindi, deve considerarsene l'oggetto.

Naviganti. Il Ministro Fornero “affonda” la pensione di vecchia anticipata …



commenta!18 novembre 2012| Invia l'articolo | Stampa |
Il Ministro Fornero ha partorito un’altra perla di grande economia e di equità sociale. , Dal 01 gennaio 2013 , secondo lo schema di regolamento per armonizzare i requisiti di accesso al sistema pensionistico del personale comparto difesa – sicurezza, comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico nonché del personale iscritto presso l’INPS, l’ex ENPALS e ex INPDAP, approvato il 26 ottobre scorso dal Consiglio dei Ministri,  scomparirà la pensione di vecchiaia anticipata ex Art. 31 L. 413/84 per il personale di macchina e delle stazioni R.T.
Lo schema di regolamento emanato in discendenza dell’art. 24, comma 18, decreto legge 06/12/2011, convertito con modificazioni dalla  legge 22/12/2011, n. 214 dovrà ora essere valutato dalle Commissioni Parlamentari. 
Va precisato, al fine di evitare allarmismo ingiustificato,  che al Capo 1, articolo 1, comma 2, dello schema di regolamento in parola è stabilito che nei confronti dei lavoratori che maturano il diritto alla pensione entro il 31/12/2012 continua ad essere applicata, in materia di accesso e decorrenza del trattamento pensionistico, la normativa pensionistica antecedente all’entrata in vigore della bozza di regolamento.
In sintesi chi matura i requisiti (55 anni di età anagrafica con 20 anni di contribuzione marittima di cui almeno 10 al servizio di macchina o R.T.) nel mese di dicembre 2012 (presumibile ultimo mese di validità vecchia normativa) avrà diritto al trattamento pensionistico dopo una finestra mobile di dodici mesi ovvero dal 01/01/2014 e potrà chiedere pensione quando vorrà poiché un diritto maturato non si prescrive e può essere esercitato quando si vuole.
Secondo lo schema del nuovo regolamento in discussione, chi maturerà i requisiti sopra circostanziati da gennaio 2013 in poi non avrà più diritto a tale tipo di pensione poiché l’articolo 11, comma 2, della bozza di regolamento approvato ieri 26 ottobre 2012 dal Consiglio dei Ministri prevede l’abrogazione dell’articolo 31 L. 413/84.
I sindacati di categoria e segnatamente l’ USCLAC/UNCDiM hanno dichiarato che continueranno tenacemente a sostenere nelle sedi opportune di rivedere l’età di accesso alla pensione di vecchiaia ordinaria per tutti i Lavoratori Marittimi ritenendo che debba essere identica a quelle delle categorie a maggiore usura.
Il Ministro Fornero evidentemente, nella sua illuminata saggezza economica, dimentica che   fronteggiare una emergenza a bordo di una nave, magari con carico ad alto rischio ecologico, in pieno oceano, per disgrazia in tempesta, con un equipaggio di sessantaseienni ed oltre (compleanno festeggiato in navigazione) oppure ormeggiare con i soli propri mezzi tra gli scogli delle Isole Minori Italiane,  ai limiti delle possibilità di approdo per condizioni metereologiche avverse, è in assoluto stridente contrasto con tutte le norme sulla sicurezza che sono in applicazione sulla navi
  Il lavoro marittimo è altamente usurante e non può essere paragonata non alla generalità dei lavoratori. Il permanere in attività oltre limiti psico-fisiche, non solo mette a rischio la sua incolumità ma anche quella dell’equipaggio e di eventuali passeggeri se trattasi di nave da crociera.

Pensioni: italiani pessimisti. Attesi assegni bassi


Pubblicato il 17 nov 2012 da Renato Marino
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Secondo un’indagine del Censis gli italiani temono per la propria pensione futura, ma anziché affidarsi alla previdenza complementare, il 70% dei lavoratori predilige forme di risparmio diverse. Degli 11,6 milioni di cittadini che prendono la pensione di vecchiaia, più di 4 milioni beneficiano di un assegno pensionistico inferiore a 1.000 euro (il 35%). Tra loro, 741mila prendono meno di 500 euro al mese. La ricerca realizzata dal Censis per la Covipvorrebbe “Promuovere la previdenza complementare come strumento efficace per una longevità serena”.
Quella serenità che agli italiani appare sempre più lontana se è vero che il 46% degli occupati crede che affronterà una vecchiaia di ristrettezze. Il 34% dei lavoratori ha paura di perdere il lavoro e di rimanere senza contribuzione e il 25% d’essere costretto a una contribuzione intermittente. Il 19% degli intervistati sa che avrà problemi a costruirsi una pensione pubblica, ma anche una integrativa. Il tutto contornato dai continui cambiamenti legislativi che non fanno che aumentare timori e ansie per il futuro: per l’84% dei lavoratori la previdenza cambierà ancora.
Più nei dettagli dallo studio del Censis emerge che in generale gli italiani credono che percepiranno una pensione media uguale al 55% del proprio reddito attuale. Un quarto dei lavoratori crede che avrà una pensione inferiore al 50% del reddito e il 43% che percepirà al massimo tra il 50% e il 60% del reddito.
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I dipendenti pubblici attendono una pensione pari al 62% del reddito, i privati uguale al 55% e gli autonomi al 51% del loro reddito attuale. I giovani tra i 18 e i 34 anni calcolano che avranno una pensione pari al 54% del loro reddito, i lavoratoti più anziani pari al 60%.
Previdenza complementarequesta sconosciuta. Ne parlavano ieri: il sistema di pensioni integrative in Italia è al palo per diversi motivi. Innanzitutto economico: il 41% dei lavoratori arriva a stento a fine mese e non può permettersela; il 28% poi semplicemente non si fida; il 19% si ritiene ancora troppo giovane e il 9% invece preferisce lasciare il Tfr in azienda.
Ma c’è anche un problema di comunicazione se solo 6 milioni di lavoratori in Italia hanno una conoscenza perlomeno sufficiente della previdenza integrativa: tocca in primo luogo ai sindacati e ai datori di lavoro informare correttamente su una questione così importante, ma anche il governo può, e dovrebbe, fare la sua parte.

Pensioni, gli italiani vedono nero Per 741 mila assegno sotto i 500 euro


Domina il pessimismo per il timore di avere troppo pochi soldi, regole che cambiano continuamente,
paura di perdere il lavoro e di non poter più versare i contributi
Timore per pensioni pubbliche troppo basse, regole che cambiano continuamente, paura di perdere il lavoro e di non poter versare i contributi: si tinge di nero l’orizzonte della vecchiaia degli italiani.  
Già oggi la previdenza pubblica è fatta di pensioni basse. Degli 11,6 milioni di pensionati con pensione di vecchiaia, più di 4 milioni (oltre il 35%) beneficia di un assegno pensionistico inferiore a 1.000 euro. Di questi, 741mila (il 6,4%) ricevono meno di 500 euro al mese. E il futuro non sarà più roseo. I lavoratori italiani pensano che quando andranno in pensione riceveranno un assegno pari in media al 55% del proprio reddito attuale. Un quarto dei lavoratori crede che avrà una pensione inferiore al 50% del reddito da lavoro e il 43% che al massimo sarà compresa tra il 50% e il 60% del reddito. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis per la Covip 

In particolare, i dipendenti pubblici si aspettano una pensione pari al 62% del loro reddito, i dipendenti privati pari al 55% e gli autonomi al 51%. I giovani di 18-34 anni prevedono che avranno una pensione pari al 54% del reddito e i più anziani pari al 60%. Secondo l’opinione del 46% degli attuali occupati si va incontro a una vecchiaia di ristrettezze, senza grandi risorse da spendere: il 24,5% ritiene che non potrà vivere nell’agiatezza, anche se qualche sfizio potrà toglierselo, il 21,5% afferma che la situazione è molto incerta e non riesce a immaginare come sarà la propria vecchiaia. Solo l’8% pensa che potrà godersi un po’ di serenità anche grazie a buoni redditi. 

L’84% dei lavoratori italiani è convinto che le regole della previdenza cambieranno ancora. La loro variabilità genera inquietudine e, nella crisi, le pensioni diventano il catalizzatore delle paure. L’insicurezza riguarda anche il percorso previdenziale personale: il 34% dei lavoratori (percentuale che sale al 41% tra i dipendenti privati) teme di perdere il lavoro e di rimanere senza contribuzione, il 25% di dover affrontare una fase di precarietà con una contribuzione intermittente, il 19% di avere difficoltà a costruirsi, oltre la pensione pubblica, fonti integrative di reddito, come ad esempio la previdenza complementare. Lo «stop and go» normativo mina la fiducia nella certezza delle regole della previdenza e nella sua capacità di dare sicurezza alle persone in vista di una prolungata longevità. Nella crisi la previdenza, come sistema e come percorso personale, catalizza paure e incertezze, creando ansia piuttosto che sicurezza. 

Come fonte di reddito per integrare la pensione pubblica, il 70% dei lavoratori indica forme di risparmio diverse dalla previdenza complementare (acquisto diretto di strumenti finanziari, investimenti immobiliari, polizze assicurative). Solo il 16,5% dichiara di preferire una forma di previdenza complementare (dai Fondi pensione ai Piani individuali di pensionamento). Ad oggi la previdenza complementare non è percepita dai lavoratori italiani come lo strumento fondamentale di integrazione della previdenza pubblica, non è identificata quindi come il secondo pilastro voluto dalla legge. 

Pensioni: Censis, 46% occupati teme vecchiaia di ristrettezze

http://it.advfn.com/notizie/Pensioni-Censis-46-occupati-teme-vecchiaia-di-ristrettezze_55060572.html


Data : 16/11/2012 @ 12:06
Fonte : MF Dow Jones (Italiano)

Pensioni: Censis, 46% occupati teme vecchiaia di ristrettezze
Il 46% degli attuali occupati ritiene che andra' incontro a una vecchiaia di ristrettezze, senza grandi risorse da spendere: il 24,5% ritiene che non potra' vivere nell'agiatezza, anche se qualche sfizio potra' toglierselo, il 21,5% afferma che la situazione e' molto incerta e non riesce a immaginare come sara' la propria vecchiaia. Solo l'8% pensa che potra' godersi un po' di serenita' anche grazie a buoni redditi.

Questi i risultati di una ricerca realizzata dal Censis per la Covip che spiega come gia' oggi la previdenza pubblica e' fatta di pensioni basse. Degli 11,6 milioni di pensionati con pensione di vecchiaia, piu' di 4 milioni (oltre il 35%) beneficia di un assegno pensionistico inferiore a 1.000 euro. Di questi, 741mila (il 6,4%) ricevono meno di 500 euro al mese. Ma il futuro non sara' piu' roseo: i lavoratori italiani pensano che quando andranno in pensione riceveranno un assegno pari in media al 55% del proprio reddito attuale. Un quarto dei lavoratori crede che avra' una pensione inferiore al 50% del reddito da lavoro e il 43% che al massimo sara' compresa tra il 50% e il 60% del reddito. Inoltre l'84% dei lavoratori italiani e' convinto che le regole della previdenza cambieranno ancora.

Per quanto riguarda la previdenza complementare sono 6 milioni i lavoratori che ne hanno una conoscenza sufficiente, mentre 16 milioni di fatto non la conoscono o la conoscono male. La previdenza complementare, cosi' poco conosciuta, non suscita tra i lavoratori la fiducia necessaria a far si' che vi investano i loro risparmi. Tra i motivi della scelta di non aderire alla previdenza complementare, al primo posto emergono quelli economici: il 41% dichiara di non poterselo permettere, il 28% non si fida degli strumenti di previdenza complementare, il 19% si ritiene troppo giovane per pensare alla pensione, il 9% preferisce lasciare il Tfr in azienda. liv


Un anno di Governo Monti: Pensioni


13 novembre 2012 - 17:03
La riforma delle pensioni contribuisce a riequilibrare i conti nel breve periodo, ma soprattutto consente la sostenibilità della spesa per pensioni nel lungo periodo garantendo l’equità intergenerazionale. Sui coefficienti di trasformazione si poteva seguire l’esempio svedese. Resta aperto il nodo dei lavoratori esodati
A pochi giorni dall’insediamento del governo Monti prende vita la riforma delle pensioni, rendendo concrete le linee di stabilizzazione presentate all’Unione Europea. La riforma delle pensioni contribuisce a riequilibrare i conti nel breve periodo, ma soprattutto va nella giusta direzione per consentire la sostenibilità della spesa nel lungo periodo garantendo l’equità intergenerazionale. Resta aperto il nodo dei lavoratori esodati.
COSA È STATO FATTO
In sintesi ecco i principali punti trattati dalla riforma.
1. Estensione del metodo contributivo pro-rata anche a coloro che andranno in pensione con il sistema retributivo, applicando il calcolo contributivo a tutti i contributi versati dal 1° gennaio 2012, rivalutati anno per anno alla media quinquennale del Pil nominale. Il metodo di calcolo per i contributi versati fino al 31 dicembre 2011 rimane inalterato.
2. Pensione di vecchiaia ordinaria. Già a partire dal 1° gennaio 2012 l’età minima di pensionamento viene innalzata. (1)
Per tutte le categorie di lavoratori e per le lavoratrici del settore pubblico l’età minima viene elevata a 66 anni, in luogo dei 65 anni della normativa previgente.
Per le lavoratrici del settore privato sale a 62, laddove la previgente normativa prevedeva 60 anni per il requisito della vecchiaia, o in alternativa 60 o 61 anni associati agli anni di contributi minimi previsti con il sistema delle quote. Il requisito minimo sale a 63 anni + 6 mesi nel 2014, a 65 anni nel 2016, a 66 anni nel 2018.
Per le lavoratrici autonome si parte da 63 anni + 6 mesi, per salire a 64 anni + 6 mesi nel 2014, a 65 anni + 6 mesi nel 2016, e 66 anni nel 2018.
Il diritto al pensionamento di vecchiaia ordinario può essere esercitato condizionatamente a due ulteriori vincoli, uniformati per tutte le categorie di lavoratori: almeno 20 anni di anzianità contributiva e un importo minimo di prestazione maturata pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale. Norme specifiche sono previste per i neoassunti.
3. Pensioni di anzianità. Dal 1° gennaio 2012 scompare il sistema delle quote che rimane in vigore solo per i lavoratori impiegati in attività usuranti. Alle pensioni di anzianità subentrano le pensioni «anticipate», ovvero quelle riferite al solo requisito dell’anzianità contributiva. Raggiunto il requisito contributivo per la pensione «anticipata», vi si accede subendo una penalizzazione sulla quota di trattamento riferita ai contributi maturati fino al 31 dicembre 2011, per la sola quota di pensione determinata con il metodo di calcolo retributivo. (2)La penalizzazione è dell’1 per cento l’anno per uno o due anni di anticipo rispetto all’età di 62 anni, del 2 per cento l’anno per il terzo anno di anticipo e per tutti i successivi. La penalizzazione si fonda sul principio che la quota di pensione determinata sui contributi versati al 31 dicembre 2011 spettante ai lavoratori soggetti al regime retributivo (e la parte retributiva della pensione spettante ai lavoratori soggetti al regime misto), qualora tali soggetti maturino i nuovi requisiti, deve essere assoggettata a una correzione attuariale(3)L’effetto è che l’accesso alla pensione anticipata (con le correzioni attuariali dette) è limitata a coloro che raggiungono il nuovo requisito di anzianità contributiva della pensione anticipata. Tutte le altre categorie di lavoratori, che con il sistema previgente erano prossime alla pensione, si trovano di fatto bloccate.
4. Adeguamento all’aumento della speranza di vita secondo una nuova tabella. Dal 1° gennaio 2013 la correzione per la speranza di vita è pari a 3 mesi, una seconda correzione avrà decorrenza 1° gennaio 2016, una terza entrerà in vigore dal 2018 e sarà modificata ogni due anni. I coefficienti di trasformazione che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2013 e avranno validità fino al 31 dicembre 2015 determineranno una riduzione del 2-3 per cento delle pensioni erogate (sulla parte contributiva), mentre potranno garantire assegni più elevati per coloro che ritarderanno la pensione. (4) A titolo di esempio, il sessantacinquenne che nel 2012 poteva andare in pensione con un coefficiente del 5,620 per cento, nel 2013 avrà un coefficiente ridotto al 5,435 per cento, mentre per le età dai 66 ai 70 anni è previsto un incremento per età di circa il 3,5-4 per cento. La revisione dei coefficienti di trasformazione è particolarmente rilevante nel contesto della riforma Fornero per ricondurre le generazioni correnti di pensionati al sistema contributivo. La fascia di pensionamento di vecchiaia è attualmente tra i 62 e i 70 anni e dal 2018 sarà a regime da 67 a 70 anni. I meccanismi di revisione devono essere costantemente aggiornati sulla base dei dati sulla longevità disponibili per rendere il meccanismo contributivo equo ed efficace.
5. Blocco parziale delle perequazioni all’inflazione. Per i soli anni 2012 e 2013 l’indicizzazione è garantita fino a tre volte il trattamento minimo Inps (circa 1.400 euro lordi mensili); per l’intero ammontare di importo superiore non viene applicata alcuna indicizzazione.
Sono previste deroghe per coloro che sono già vicini alla pensione: per i nati nel 1952 occupati nel settore privato che raggiungono i 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2012 sarà possibile lasciare il lavoro a 64 anni, senza attendere i 66 anni previsti per gli uomini dal 2012 e per le donne dal 2016. (5) Sempre limitatamente al settore privato, per le donne è prevista una opportunità in più: potranno andare in pensione con le vecchie regole della vecchiaia se entro il 2012 raggiungono i 60 anni di età e un’anzianità contributiva di almeno 20 anni. Ulteriori deroghe sono previste per i lavoratori precoci.
COSA RESTA DA FARE E QUESTIONI IN SOSPESO
Il perdurare della crisi economica ha aggravato la situazione di molti datori di lavoro, costretti a ricorrere a diverse fattispecie di ammortizzatori sociali, anche quelli in deroga, per restare sul mercato e per dare sostegno economico ai lavoratori in esubero. I lavoratori in esubero si trovano, pure in presenza di un consistente bonus di fuoriuscita, sprovvisti di reddito da lavoro. Nello stesso tempo non si qualificano per la pensione perché non raggiungono il nuovo requisito minimo di età per il pensionamento di vecchiaia. Il numero di esuberi (esodati e esondandi) è elevato e imprecisato : le stime di spesa per i primi 130mila salvaguardati ammontano a oltre 9,2 miliardi di euro necessari per coprire le pensioni per gli anni dal 2012 al 2020.
Finora sono stati individuati 130mila lavoratori esodati con il decreto interministeriale di giugno (65mila) e con la legge sulla spending review dello scorso agosto (55mila); i rimanenti 10mila discendono dall’applicazione della “finestra mobile” che ha posticipato il pensionamento di dodici mesi dalla data di effettiva maturazione del diritto. Dalla ricognizione di ottobre è emerso che alla platea degli esodati del biennio 2013-2014 si aggiungono ulteriori 8.977 lavoratori e secondo le stime saranno perciò necessari altri 440 milioni per il biennio in questione: la copertura dovrebbe arrivare da uno speciale meccanismo che consente al fondo da 100 milioni previsto dal Ddl stabilità di essere automaticamente rifinanziato, puntando in particolare sulle risorse che rimarranno inutilizzate sugli oltre 9 miliardi già stanziati per i primi 130mila salvaguardati. (6)
Il tentativo messo in atto da diverse forze politiche e sindacati di allargare la platea degli aventi diritto attenuando i criteri di selezione rischia di vanificare i capisaldi della riforma Fornero.
Alla priorità di salvaguardare gli esodati vanno affiancate norme dirette ai datori di lavoro, volte a introdurre adeguati incentivi al mantenimento in azienda dei lavoratori con oltre 57 anni di età o, in alternativa, a favorire con opportuni incentivi o agevolazioni fiscali e contributive il loro reintegro in azienda, anche tramite forme alternative al contratto di lavoro dipendente.
Tali misure saranno più facilmente attuabili se il paese tornerà ad una auspicata crescita economica e se si realizzeranno piani di risanamento aziendale, assieme al completamento della riforma del mercato del lavoro.
Con il decreto legge del 2010 tutte le ricongiunzioni, a prescindere dalla gestione di provenienza o di destinazione, sono diventate a titolo oneroso, sostanzialmente per evitare una migrazione delle dipendenti pubbliche dall’Inpdap all’Inps, che avrebbe permesso loro di evitare l’innalzamento dell’età pensionabile. Ora, per poter vedere riconosciuti tutti gli anni di contributi versati i lavoratori potrebbero essere costretti a pagare fino a 300mila euro per la ricongiunzione.
Il ritorno alla gratuità del procedimento è ostacolato dai costi dell’operazione, che la Ragioneria dello Stato ha stimato essere pari a 1,4 miliardi di euro.
Vale anche la pena sottolineare che nel testo della riforma è stata prevista fin dall’inizio la possibilità eventuale di ridurre l’aliquota contributiva obbligatoria a favore di prestazioni previdenziali derivanti da fondi pensione integrativi(7) La riforma del novembre 2011 intende rafforzare il ruolo dei tre pilastri del sistema pensionistico, quello pubblico con la prestazione erogata dall’Inps, quello privato dei fondi pensione, e quello individuale costituito dal risparmio personale, aprendo all’ipotesi di trasferire una quota di contribuzione attualmente destinata al sistema pubblico alla previdenza complementare.
OCCASIONI MANCATE
Se da un lato le disposizioni sulla pensione di vecchiaia e la sostituzione delle pensioni di anzianità con le anticipate rispondono all’obiettivo desiderabile e necessario di innalzamento dell’età di pensionamento e rappresentano un importante risultato considerando i vincoli entro cui opera il Governo Monti, dall’altro occorre notare che l’idea di flessibilità che ha caratterizzato la riforma Dini viene ridimensionata. Poiché tali modifiche sono avvenute in tempi rapidi, il Governo deve ora affrontare il problema degli esodati e occorre ricordare che la riforma ha costretto molti lavoratori prossimi alla pensione a rivedere i propri piani con limitate possibilità di modulare l’uscita dal lavoro verso il pensionamento.
Per i lavoratori esodati o esodandi una soluzione tuttora percorribile prevede di rideterminare gli importi pensionistici applicando riduzioni attuariali, pari a circa il 2-3 per cento in meno per ogni anno precedente il raggiungimento della nuova età pensionabile. Al tempo stesso, dovrebbe essere chiesto ai datori di lavoro di versare i contributi sociali per questi lavoratori fino a quando questi maturano il diritto a una pensione piena. In questo quadro, il datore di lavoro dovrebbe optare per la reintegrazione dei lavoratori coinvolti e il lavoratore potrebbe cercare fonti di reddito alternative, tali da compensare la riduzione attuariale nella pensione, senza perdere il diritto a quest’ultima.
Per quel che riguarda i coefficienti di trasformazione si poteva rivedere il meccanismo prendendo ad esempio il sistema svedese, secondo il quale per ogni coorte di nascita vengono assegnati coefficienti specifici e fissati al raggiungimento dell’età pensionabile di vecchiaia. Pertanto, ogni coorte “possiede” coefficienti propri che tengono conto della dinamica della longevità e dell’andamento economico.
Il sistema dei coefficienti di trasformazione all’italiana resta in vigore per più anni, tanto che individui appartenenti a coorti diverse e che decidono di pensionarsi tra il 2010 e il 2012 avranno tutti diritto ai medesimi coefficienti, invece individui che decidono di pensionarsi nel 2013, e che appartengono alla stessa coorte di quelli pensionati nel 2012, saranno penalizzati da coefficienti rivisti verso il basso.
Nel sistema svedese viene garantita equità intragenerazionale, perché lavoratori della stessa coorte vengono remunerati con lo stesso coefficiente basato sulla longevità, e si raggiunge anche una equità intergenerazionale perché ogni generazione vede il proprio montante attualizzato in funzione della propria longevità e della propria durata del pensionamento (www.lavoce.info 22/11/2011).
(1) Non oltre i 70 anni.
(2) Circolare Inps n. 35 del 14.3.2012.
(3) Vedi Sandro Gronchi, “Cosa fare delle pensioni di anzianità”, www.lavoce.info del 15.11.2011 e Tito Boeri e Agar Brugiavini, “Non per cassa ma per equità”, www.lavoce.info del 9.11.2011.
(4) Stime condivise da più autori, pubblicate anche dal Sole-24Ore.
(5) Trovati G., “Arriva lo sconto parziale per le classi più colpite”, Il Sole-24Ore del 14.12.2011.
(6) Esodati aggiornati”, ItaliaOggi del 18.10.2012. e “Esodati, conto alla rovescia per estendere la platea dei salvaguardati. Il sottosegretario Polillo: non sappiamo quanti sono”, www.ilsole24ore.com, 8.11.2012.
(7) Claudio Pinna, “Sulle pensioni verifica ancora in agenda”, www.ilsole24ore.com, 21.8.2012.
Autori: Agar Brugiavini e Roberta Rainato – Lavoce.info (Articolo originale)

PENSIONATI DIRITTI

(Riunisce la voce delle Istituzioni ed il parere di qualificati esperti in tema di PENSIONI)