mercoledì 21 novembre 2012

Un anno di Governo Monti: Pensioni


13 novembre 2012 - 17:03
La riforma delle pensioni contribuisce a riequilibrare i conti nel breve periodo, ma soprattutto consente la sostenibilità della spesa per pensioni nel lungo periodo garantendo l’equità intergenerazionale. Sui coefficienti di trasformazione si poteva seguire l’esempio svedese. Resta aperto il nodo dei lavoratori esodati
A pochi giorni dall’insediamento del governo Monti prende vita la riforma delle pensioni, rendendo concrete le linee di stabilizzazione presentate all’Unione Europea. La riforma delle pensioni contribuisce a riequilibrare i conti nel breve periodo, ma soprattutto va nella giusta direzione per consentire la sostenibilità della spesa nel lungo periodo garantendo l’equità intergenerazionale. Resta aperto il nodo dei lavoratori esodati.
COSA È STATO FATTO
In sintesi ecco i principali punti trattati dalla riforma.
1. Estensione del metodo contributivo pro-rata anche a coloro che andranno in pensione con il sistema retributivo, applicando il calcolo contributivo a tutti i contributi versati dal 1° gennaio 2012, rivalutati anno per anno alla media quinquennale del Pil nominale. Il metodo di calcolo per i contributi versati fino al 31 dicembre 2011 rimane inalterato.
2. Pensione di vecchiaia ordinaria. Già a partire dal 1° gennaio 2012 l’età minima di pensionamento viene innalzata. (1)
Per tutte le categorie di lavoratori e per le lavoratrici del settore pubblico l’età minima viene elevata a 66 anni, in luogo dei 65 anni della normativa previgente.
Per le lavoratrici del settore privato sale a 62, laddove la previgente normativa prevedeva 60 anni per il requisito della vecchiaia, o in alternativa 60 o 61 anni associati agli anni di contributi minimi previsti con il sistema delle quote. Il requisito minimo sale a 63 anni + 6 mesi nel 2014, a 65 anni nel 2016, a 66 anni nel 2018.
Per le lavoratrici autonome si parte da 63 anni + 6 mesi, per salire a 64 anni + 6 mesi nel 2014, a 65 anni + 6 mesi nel 2016, e 66 anni nel 2018.
Il diritto al pensionamento di vecchiaia ordinario può essere esercitato condizionatamente a due ulteriori vincoli, uniformati per tutte le categorie di lavoratori: almeno 20 anni di anzianità contributiva e un importo minimo di prestazione maturata pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale. Norme specifiche sono previste per i neoassunti.
3. Pensioni di anzianità. Dal 1° gennaio 2012 scompare il sistema delle quote che rimane in vigore solo per i lavoratori impiegati in attività usuranti. Alle pensioni di anzianità subentrano le pensioni «anticipate», ovvero quelle riferite al solo requisito dell’anzianità contributiva. Raggiunto il requisito contributivo per la pensione «anticipata», vi si accede subendo una penalizzazione sulla quota di trattamento riferita ai contributi maturati fino al 31 dicembre 2011, per la sola quota di pensione determinata con il metodo di calcolo retributivo. (2)La penalizzazione è dell’1 per cento l’anno per uno o due anni di anticipo rispetto all’età di 62 anni, del 2 per cento l’anno per il terzo anno di anticipo e per tutti i successivi. La penalizzazione si fonda sul principio che la quota di pensione determinata sui contributi versati al 31 dicembre 2011 spettante ai lavoratori soggetti al regime retributivo (e la parte retributiva della pensione spettante ai lavoratori soggetti al regime misto), qualora tali soggetti maturino i nuovi requisiti, deve essere assoggettata a una correzione attuariale(3)L’effetto è che l’accesso alla pensione anticipata (con le correzioni attuariali dette) è limitata a coloro che raggiungono il nuovo requisito di anzianità contributiva della pensione anticipata. Tutte le altre categorie di lavoratori, che con il sistema previgente erano prossime alla pensione, si trovano di fatto bloccate.
4. Adeguamento all’aumento della speranza di vita secondo una nuova tabella. Dal 1° gennaio 2013 la correzione per la speranza di vita è pari a 3 mesi, una seconda correzione avrà decorrenza 1° gennaio 2016, una terza entrerà in vigore dal 2018 e sarà modificata ogni due anni. I coefficienti di trasformazione che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2013 e avranno validità fino al 31 dicembre 2015 determineranno una riduzione del 2-3 per cento delle pensioni erogate (sulla parte contributiva), mentre potranno garantire assegni più elevati per coloro che ritarderanno la pensione. (4) A titolo di esempio, il sessantacinquenne che nel 2012 poteva andare in pensione con un coefficiente del 5,620 per cento, nel 2013 avrà un coefficiente ridotto al 5,435 per cento, mentre per le età dai 66 ai 70 anni è previsto un incremento per età di circa il 3,5-4 per cento. La revisione dei coefficienti di trasformazione è particolarmente rilevante nel contesto della riforma Fornero per ricondurre le generazioni correnti di pensionati al sistema contributivo. La fascia di pensionamento di vecchiaia è attualmente tra i 62 e i 70 anni e dal 2018 sarà a regime da 67 a 70 anni. I meccanismi di revisione devono essere costantemente aggiornati sulla base dei dati sulla longevità disponibili per rendere il meccanismo contributivo equo ed efficace.
5. Blocco parziale delle perequazioni all’inflazione. Per i soli anni 2012 e 2013 l’indicizzazione è garantita fino a tre volte il trattamento minimo Inps (circa 1.400 euro lordi mensili); per l’intero ammontare di importo superiore non viene applicata alcuna indicizzazione.
Sono previste deroghe per coloro che sono già vicini alla pensione: per i nati nel 1952 occupati nel settore privato che raggiungono i 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2012 sarà possibile lasciare il lavoro a 64 anni, senza attendere i 66 anni previsti per gli uomini dal 2012 e per le donne dal 2016. (5) Sempre limitatamente al settore privato, per le donne è prevista una opportunità in più: potranno andare in pensione con le vecchie regole della vecchiaia se entro il 2012 raggiungono i 60 anni di età e un’anzianità contributiva di almeno 20 anni. Ulteriori deroghe sono previste per i lavoratori precoci.
COSA RESTA DA FARE E QUESTIONI IN SOSPESO
Il perdurare della crisi economica ha aggravato la situazione di molti datori di lavoro, costretti a ricorrere a diverse fattispecie di ammortizzatori sociali, anche quelli in deroga, per restare sul mercato e per dare sostegno economico ai lavoratori in esubero. I lavoratori in esubero si trovano, pure in presenza di un consistente bonus di fuoriuscita, sprovvisti di reddito da lavoro. Nello stesso tempo non si qualificano per la pensione perché non raggiungono il nuovo requisito minimo di età per il pensionamento di vecchiaia. Il numero di esuberi (esodati e esondandi) è elevato e imprecisato : le stime di spesa per i primi 130mila salvaguardati ammontano a oltre 9,2 miliardi di euro necessari per coprire le pensioni per gli anni dal 2012 al 2020.
Finora sono stati individuati 130mila lavoratori esodati con il decreto interministeriale di giugno (65mila) e con la legge sulla spending review dello scorso agosto (55mila); i rimanenti 10mila discendono dall’applicazione della “finestra mobile” che ha posticipato il pensionamento di dodici mesi dalla data di effettiva maturazione del diritto. Dalla ricognizione di ottobre è emerso che alla platea degli esodati del biennio 2013-2014 si aggiungono ulteriori 8.977 lavoratori e secondo le stime saranno perciò necessari altri 440 milioni per il biennio in questione: la copertura dovrebbe arrivare da uno speciale meccanismo che consente al fondo da 100 milioni previsto dal Ddl stabilità di essere automaticamente rifinanziato, puntando in particolare sulle risorse che rimarranno inutilizzate sugli oltre 9 miliardi già stanziati per i primi 130mila salvaguardati. (6)
Il tentativo messo in atto da diverse forze politiche e sindacati di allargare la platea degli aventi diritto attenuando i criteri di selezione rischia di vanificare i capisaldi della riforma Fornero.
Alla priorità di salvaguardare gli esodati vanno affiancate norme dirette ai datori di lavoro, volte a introdurre adeguati incentivi al mantenimento in azienda dei lavoratori con oltre 57 anni di età o, in alternativa, a favorire con opportuni incentivi o agevolazioni fiscali e contributive il loro reintegro in azienda, anche tramite forme alternative al contratto di lavoro dipendente.
Tali misure saranno più facilmente attuabili se il paese tornerà ad una auspicata crescita economica e se si realizzeranno piani di risanamento aziendale, assieme al completamento della riforma del mercato del lavoro.
Con il decreto legge del 2010 tutte le ricongiunzioni, a prescindere dalla gestione di provenienza o di destinazione, sono diventate a titolo oneroso, sostanzialmente per evitare una migrazione delle dipendenti pubbliche dall’Inpdap all’Inps, che avrebbe permesso loro di evitare l’innalzamento dell’età pensionabile. Ora, per poter vedere riconosciuti tutti gli anni di contributi versati i lavoratori potrebbero essere costretti a pagare fino a 300mila euro per la ricongiunzione.
Il ritorno alla gratuità del procedimento è ostacolato dai costi dell’operazione, che la Ragioneria dello Stato ha stimato essere pari a 1,4 miliardi di euro.
Vale anche la pena sottolineare che nel testo della riforma è stata prevista fin dall’inizio la possibilità eventuale di ridurre l’aliquota contributiva obbligatoria a favore di prestazioni previdenziali derivanti da fondi pensione integrativi(7) La riforma del novembre 2011 intende rafforzare il ruolo dei tre pilastri del sistema pensionistico, quello pubblico con la prestazione erogata dall’Inps, quello privato dei fondi pensione, e quello individuale costituito dal risparmio personale, aprendo all’ipotesi di trasferire una quota di contribuzione attualmente destinata al sistema pubblico alla previdenza complementare.
OCCASIONI MANCATE
Se da un lato le disposizioni sulla pensione di vecchiaia e la sostituzione delle pensioni di anzianità con le anticipate rispondono all’obiettivo desiderabile e necessario di innalzamento dell’età di pensionamento e rappresentano un importante risultato considerando i vincoli entro cui opera il Governo Monti, dall’altro occorre notare che l’idea di flessibilità che ha caratterizzato la riforma Dini viene ridimensionata. Poiché tali modifiche sono avvenute in tempi rapidi, il Governo deve ora affrontare il problema degli esodati e occorre ricordare che la riforma ha costretto molti lavoratori prossimi alla pensione a rivedere i propri piani con limitate possibilità di modulare l’uscita dal lavoro verso il pensionamento.
Per i lavoratori esodati o esodandi una soluzione tuttora percorribile prevede di rideterminare gli importi pensionistici applicando riduzioni attuariali, pari a circa il 2-3 per cento in meno per ogni anno precedente il raggiungimento della nuova età pensionabile. Al tempo stesso, dovrebbe essere chiesto ai datori di lavoro di versare i contributi sociali per questi lavoratori fino a quando questi maturano il diritto a una pensione piena. In questo quadro, il datore di lavoro dovrebbe optare per la reintegrazione dei lavoratori coinvolti e il lavoratore potrebbe cercare fonti di reddito alternative, tali da compensare la riduzione attuariale nella pensione, senza perdere il diritto a quest’ultima.
Per quel che riguarda i coefficienti di trasformazione si poteva rivedere il meccanismo prendendo ad esempio il sistema svedese, secondo il quale per ogni coorte di nascita vengono assegnati coefficienti specifici e fissati al raggiungimento dell’età pensionabile di vecchiaia. Pertanto, ogni coorte “possiede” coefficienti propri che tengono conto della dinamica della longevità e dell’andamento economico.
Il sistema dei coefficienti di trasformazione all’italiana resta in vigore per più anni, tanto che individui appartenenti a coorti diverse e che decidono di pensionarsi tra il 2010 e il 2012 avranno tutti diritto ai medesimi coefficienti, invece individui che decidono di pensionarsi nel 2013, e che appartengono alla stessa coorte di quelli pensionati nel 2012, saranno penalizzati da coefficienti rivisti verso il basso.
Nel sistema svedese viene garantita equità intragenerazionale, perché lavoratori della stessa coorte vengono remunerati con lo stesso coefficiente basato sulla longevità, e si raggiunge anche una equità intergenerazionale perché ogni generazione vede il proprio montante attualizzato in funzione della propria longevità e della propria durata del pensionamento (www.lavoce.info 22/11/2011).
(1) Non oltre i 70 anni.
(2) Circolare Inps n. 35 del 14.3.2012.
(3) Vedi Sandro Gronchi, “Cosa fare delle pensioni di anzianità”, www.lavoce.info del 15.11.2011 e Tito Boeri e Agar Brugiavini, “Non per cassa ma per equità”, www.lavoce.info del 9.11.2011.
(4) Stime condivise da più autori, pubblicate anche dal Sole-24Ore.
(5) Trovati G., “Arriva lo sconto parziale per le classi più colpite”, Il Sole-24Ore del 14.12.2011.
(6) Esodati aggiornati”, ItaliaOggi del 18.10.2012. e “Esodati, conto alla rovescia per estendere la platea dei salvaguardati. Il sottosegretario Polillo: non sappiamo quanti sono”, www.ilsole24ore.com, 8.11.2012.
(7) Claudio Pinna, “Sulle pensioni verifica ancora in agenda”, www.ilsole24ore.com, 21.8.2012.
Autori: Agar Brugiavini e Roberta Rainato – Lavoce.info (Articolo originale)

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