martedì 12 marzo 2013

Prossime al debutto le pensioni anticipate. Con possibili tagli


  Da:http://www.usirdbricerca.info/index.php?option=com_content&view=article&id=2442:prossime-al-debutto-le-pensioni-anticipate-con-possibili-tagli-&catid=107:lavoro&Itemid=522

   

di Rocco Tritto
Il primo appuntamento per chi è stato colpito dalla meteoritedella riforma delle pensioni, propinata agli italiani alla fine del 2011 dalla ministra Fornero e dal governo Monti, è fissato per il primo giugno prossimo.
A quella data, infatti, quanti al 31 dicembre 2011 non avevano maturato il diritto alla pensione, allora chiamata di anzianità, potranno – se in possesso di 41 anni e 5 mesi di anzianità contributiva, se donne, oppure 42 e 5 mesi, se uomini – essere collocati in pensione anticipata.
Sino alla fine del 2011, invece, era possibile ottenere la pensione di anzianità (abolita dal 1° gennaio 2012) con 60 anni di età anagrafica e 36 di contributi, salvo il differimento di un anno (cosiddetto “scalone mobile”) della data di effettivo collocamento in quiescenza.
La riforma Fornero, in nome di un asserito risanamento, ha destabilizzato il sistema, penalizzando non poco i pensionandi, soprattutto quelli che ormai erano a un passo dal traguardo, anche quelli prossimi ai 40 anni di contributi, che hanno visto allungarsi i termini per il collocamento in quiescenza, con la possibilità  – comunque – di subire decurtazioni percentuali dell’assegno pensionistico, nel caso in cui al maturare delle nuove anzianità di servizio non corrisponda una anzianità anagrafica di almeno 62 anni.
Il taglio è dell’1% per ogni anno di anticipo rispetto all’età di 62 anni, che viene raddoppiato per ogni altro ulteriore anno di anticipo rispetto ai 60.
Tale decurtazione è stata in un certo senso mitigata con decreto legge 29 dicembre 2011, n.216 (cosiddetto “Milleproroghe 2012”) per quanti, entro la fine del 2017, matureranno le dette anzianità contributive – che nel frattempo verranno aumentate per effetto dell’aumento della “speranza di vita” – a seguito di esclusiva prestazione lavorativa, in questa includendo i periodi di assenza per maternità, servizio militare, infortuni e malattia.
La penalizzazione, dunque, è volta a colpire esclusivamente coloro che hanno riscattato a titolo oneroso periodi contributivi, come ad esempio gli anni di laurea o di dottorato.
Si tratta di una sanzione davvero odiosa, dalla connotazione discriminatoria che, ancora una volta, la dice lunga sui principi di “equità” ai quali, al momento del suo insediamento, lo sciagurato governo dei tecnici aveva detto di volersi ispirare.
Staremo a vedere se i tanti esponenti politici “democratici”, che sono stati rieletti in Parlamento, e che a suo tempo tuonarono contro la riforma Fornero, in generale, e contro le penalizzazioni, in particolare, passeranno, una volta al governo, dalle parole ai fatti concreti oppure se la stangata pensionistica verrà considerata archiviata, se non addirittura da rimaneggiare in negativo.

 

Il precariato pesa sulla pensione


Da:http://www.lastampa.it/2013/03/08/economia/finanza/finanza-personale/il-precariato-pesa-sulla-pensione-NEHDR5iqSs4JYMHdOE9rLL/pagina.html


A causa dei contratti precari, molti giovani versano contributi a intermittenza
Secondo una ricerca realizzata dal Censis per la Covip i giovani lavoratori sono alle prese con l'incubo di non avere tra qualche anno la pensione e di ritrovarsi in una situazione di ristrettezze economiche cosi' da dover integrare la pensione pubblica con qualche forma di risparmio.

I numeri

Il 34,3% degli intervistati ha paura di perdere il lavoro e non riuscire a versare i contributi, mentre il 32,7% ha paura di diventare precario e non riuscire piu' a versare i contributi in maniera continuativa ma solo saltuariamente. Gia' oggi infatti il 39,4% dei giovani lavoratori ha un percorso contributivo discontinuo a causa di lavori precari o impieghi senza versamenti pensionistici.

Non solo i giovani sono preoccupati per il loro futuro pensionistico, ma tutti i lavoratori italiani temono per il proprio futuro:1 lavoratore su 3 vorrebbe andare in pensione prima dei 60 anni

- solo il 3,7% ritiene che sia possibile andare in pensione prima dei 60 anni- il 24,7% teme che dovra' aspettare di compiere 70 anni prima di andare in pensione- oltre l'80% ritiene che dovra' aspettare almeno di avere 64 anni per smettere di lavorare- il 72% degli intervistati vorrebbe andare in pensione entro i 60- l'84% degli intervistati e' convinto che le regole sulla previdenza cambieranno- appena l'8,1% pensa che "finalmente" ci siano regole stabili del sul fronte pensione.

Difficolta' economiche

Regna quindi l'insicurezza, l'ansia e la paura nei lavoratori italiani che non hanno piu' certezza riguardo al loro stato pensionistico e sono sempre piu' preoccupati dall'idea di dover trascorrere una vecchiaia di ristrettezze economiche: infatti i lavoratori italiani credono che quando andranno in pensione riceveranno un assegno pari in media al 55% del proprio reddito attuale. - I giovani (18-34 anni) si aspettano un importo pari al 53,6% del proprio reddito- i lavoratori che ora hanno tra i 55 e i 64 anni si aspettano che l'assegno pensionistico arrivi al 60,1% del loro reddito da lavoro. - i dipendenti pubblici, piu' ottimisti, si aspettano un assegno pari al 62% del loro reddito a fronte del 55% atteso dai dipendenti privati e il 51% dagli autonomi.

I timori

In un momento come questo, di incertezze e crisi economica, sono in molti ad aver paura di perdere il posto di lavoro e di rimanere senza contribuzione: il 21,4% dei dipendenti pubblici teme di perdere il lavoro e di non riuscire a versare i contributi, il 24,1% di finire nel precariato e di poter versare i contributi solo in modo intermittente, il 21,3% ha paura di non avere abbastanza reddito per finanziare forme integrative della pensione pubblica.

E le pensioni complementari?

Riguardo, in particolare, alla previdenza complementare non ci sono pregiudizi ideologici visto che il 42% dei lavoratori considera il sistema previdenziale misto, fatto di pubblico (pensione di base) e privato (pensione complementare), come il piu' sicuro. Il 40% ritiene invece piu' affidabile il sistema pubblico, il 18% quello privato.

Drastica riduzione dei pensionamenti nella scuola, precari a casa


2013-03-09 00:49:58
 di SERGIO SORELLA* - In questi giorni gli Uffici scolastici provinciali hanno pubblicato il numero del personale scolastico da collocare in pensione secondo le regole della riforma Fornero. 
 
Sono state rigettate molte domande, soprattutto della scuola dell’infanzia, poiché si è alzata l’età pensionabile a 66 anni per la pensione di vecchiaia ed a 62 per quella anticipata.
Il risultato è che rispetto ad una media superiore alle 300 unità di personale scolastico  che andava in pensione, c’è stata una drastica riduzione già a partire dallo scorso anno:  il 1° settembre 2012 solo 230, tra docenti ed ATA, hanno cessato l’attività lavorativa. Per il prossimo anno scolastico, invece, ci sarà una vera e propria sforbiciata. I pensionati della scuola in tutta la regione Molise saranno appena 82!
In più occasioni abbiamo denunciato una situazione insostenibile; ci sono insegnanti che sono stati beffati dalla riforma Fornero e sono costretti ad andare in pensione  5-6 anni dopo quello che avevano programmato con le regole precedenti Si tratta di un vero e proprio scippo attuato  con l’unico obiettivo di fare cassa penalizzando, ancora una volta, i lavoratori pubblici. Oltre al taglio di risorse e di organici, al blocco degli scatti d’anzianità e del contratto, alle continue vessazioni nei confronti del lavoro pubblico, si è aggiunta questa ulteriore vessazione. Un personale stanco e spesso demotivato per le condizioni in cui opera, non può certo garantire una scuola pubblica di qualità. A rimetterci saranno gli alunni delle scuole molisane.
Ecco la ripartizione  dei pensionamenti  dl personale docente ed ATA nella regione Molise dal 1° settembre 2013:  (tra parentesi i pensionati dell’anno scolastico 2011-12)
Infanzia
Primaria
Sec. I° grado
Sec. II° grado
ATA
Totale
Campobasso
6 (30)
13 (40)
7 (36)
8 (30)
16 (34)
50 (170)
Isernia
4 (4)
6 (17)
4 (12)
9 (14)
9 (13)
32 (60)
Totale
10 (34)
19 (57)
11 (48)
17 (44)
21 (47)
82 (230)

Con questi numeri le immissioni in ruolo (lo scorso anno furono solo 117 su 230 pensionati) sono fortemente a rischio e la stabilizzazione del personale precario sarà una vera chimera. La possibilità per i precari di vedersi riconfermato l’incarico, sarà ridotta in maniera rilevante. E’ urgente rimettere mano a questa situazione se, come si dice, si vuol investire sul futuro e sui giovani.
*segretario regionale FLC Cgil

Pensioni: Consulta, sia garantito trattamento minimo


 da:http://www.giornaledipuglia.com/2013/03/pensioni-consulta-sia-garantito.html



ROMA. Il trattamento pensionistico minimo è costituzionalmente garantito. A ricordarlo è una sentenza della Corte Costituzionale depositata ieri (n. 33/2013). I giudici di Palazzo della Consulta hanno accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Genova, in materia di tutela della pensione minima, diritto costituzionalmente garantito dall'art. 38, comma 2 della Costituzione che recita “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Tale tutela, secondo i giudici della Consulta, può essere attuata dal legislatore con lo strumento della deroga ai limiti di età ordinari previsti per ciascuna categoria di dipendenti pubblici. Il raggiungimento dei vari trattamenti pensionistici e dei benefici ulteriori rientra, invece, nella discrezionalità del legislatore non essendoci vincoli costituzionali in tal senso.

In particolare, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 15nonies del d.lgs. 502/1992 e 16 del d.lgs. 503/1992 (nel testo vigente fino all’entrata in vigore dell'art. 22 della l. 183/2010): tali norme non permettevano al personale della dirigenza medica che aveva raggiunto il limite massimo di età per il collocamento a riposo, e cioè 65 anni ma senza aver raggiunto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età.

Il giudice rimettete aveva censurato la normativa in esame per la violazione dell'art. 38, comma 2, e dell'art. 3, comma 1 (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”). Accogliendo parzialmente la questione di legittimità costituzionale, in riferimento al solo parametro costituzionale dell’art. 38, comma 2, la Corte ha censurato la normativa in esame nella parte in cui non permetteva al dirigente medico di poter raggiungere il trattamento pensionistico minimo.

Nella parte motiva della sentenza, la Consulta ha spiegato che “in ordine alla tutela del conseguimento del minimo pensionistico, l'orientamento di questa Corte è costante. Il problema di tale tutela è strettamente connesso a quello dei limiti di età; la previsione di questi ultimi è rimessa “al legislatore nella sua più ampia discrezionalità (sentenza n. 195 del 2000) e quest'ultima può incontrare vincoli - sotto il profilo costituzionale - solo in relazione all'obiettivo di conseguire il minimo della pensione, attraverso lo strumento della deroga ai limiti di età ordinari previsti per ciascuna categoria di dipendente pubblico”.
- See more at: http://www.giornaledipuglia.com/2013/03/pensioni-consulta-sia-garantito.html#sthash.3QaRFYC1.dpuf

FLC CGIL: "SOLO 82 PENSIONAMENTI NELLA SCUOLA. PRECARI A CASA"


07/03/2013 - 
In questi giorni gli Uffici scolastici provinciali hanno pubblicato il numero del personale scolastico da collocare in pensione secondo le regole della riforma Fornero. Secondo quanto evidenziato in una nota della Flc Cgil, «sono state rigettate molte domande, soprattutto della scuola dell’infanzia, poiché l’età pensionabile è stata portata a 66 anni per la pensione di vecchiaia e a 62 per quella anticipata. Il risultato è che rispetto a una media superiore alle 300 unità di personale scolastico che andava in pensione, c’è stata una drastica riduzione già a partire dallo scorso anno: il 1° settembre 2012 solo 230, tra docenti ed ata, hanno cessato l’attività lavorativa. Per il prossimo anno scolastico, invece, ci sarà una vera e propria sforbiciata. I pensionati della scuola in tutta la regione Molise saranno appena 82. In più occasioni abbiamo denunciato una situazione insostenibile; ci sono insegnanti che sono stati beffati dalla riforma Fornero e sono costretti ad andare in pensione 5-6 anni dopo quello che avevano programmato con le regole precedenti. Oltre al taglio di risorse e di organici, al blocco degli scatti d’anzianità e del contratto, alle continue vessazioni nei confronti del lavoro pubblico, si è aggiunta questa ulteriore vessazione. Un personale stanco e spesso demotivato per le condizioni in cui opera, non può certo garantire una scuola pubblica di qualità. A rimetterci saranno gli alunni delle scuole molisane. Con questi numeri le immissioni in ruolo (lo scorso anno furono solo 117 su 230 pensionati) sono fortemente a rischio e la stabilizzazione del personale precario sarà una vera chimera. La possibilità per i precari di vedersi riconfermato l’incarico sarà ridotta in maniera rilevante. E’ urgente rimettere mano a questa situazione se, come si dice, si vuol investire sul futuro e sui giovani».

Ragionieri senza riforma delle pensioni. Anc in allerta


Da:http://www.italiaoggi.it/news/dettaglio_news.asp?id=201303051424055926&chkAgenzie=ITALIAOGGI 


Di Ignazio Marino
Ragionieri senza riforma delle pensioni. Anc in allerta

La riforma delle pensioni dei ragionieri resta in stand-by. Approvata dall'assemblea dei delegati della Cassa del 10 novembre (seppur in ritardo rispetto ai tempi previsti dalla riforma Fornero) e immediatamente inviata ai ministeri vigilanti, da allora è calato il silenzio sulle nuove misure che allontanano nel tempo la pensione e aumentano i contributi per i professionisti. Misure finalizzate a garantire l'equilibrio a 50 anni ma che restano sospese fino a quando i ministeri del lavoro e dell'economia non daranno il via libera ufficiale.

Una situazione di incertezza che ha messo in allerta l'Associazione nazionale dei commercialisti. «C'è preoccupazione fra i ragionieri», dice il presidente Marco Cuchel, «perché non sappiamo se si può presentare la domanda di pensionamento con i vecchi requisiti oppure si devono aspettare i nuovi visto che, sulla carta, la riforma decorre dal primo gennaio 2013. Sono più di tre mesi e mezzo che i correttivi sono stati approvati internamente. Se c'è qualcosa che non va i ministeri lo dicano e si provvederà a fare le modifiche, altrimenti di provveda a dare il via libera».

Fra le novità più rilevanti, la Cassa di previdenza dei ragionieri ha previsto: la soppressione della pensione di anzianità, sostituita dalla pensione anticipata; una progressiva elevazione dei requisiti di età e di contribuzione per la pensione di vecchiaia; la progressiva elevazione dell'aliquota del contributo soggettivo fino al 15%; la riduzione dell'importo minimo del contributo integrativo; l'introduzione di un contributo di solidarietà a carico dei pensionati, per gli anni dal 2014 al 2016, facendo salve le pensioni più basse; la possibilità di proseguire la contribuzione con versamenti volontari; incentivi per chi posticipa la decorrenza della pensione; il riconoscimento di una parte del contributo integrativo nel montante dei giovani iscritti.

La preoccupazione dell'Anc, però, va oltre la riforma che, come spiega Cuchel, «prima o poi dovrà comunque essere approvata». C'è infatti il tema delle iscrizioni alla Cnpr che sono crollate negli ultimi cinque anni, ovvero da quando nel 2008 è nato l'Albo unico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. «Come sindacato da tempo chiediamo una soluzione ad un problema che ha creato una legge dello stato. Abbiamo proposto anche delle soluzioni, come l'iscrizione all'ente degli esperti contabili oppure di altre figure prive di albo. I ministeri approvino al più presto la riforma sulla sostenibilità e metta mano al più presto anche all'allargamento della base demografica», è l'appello di Cuchel.

CASSAZIONE RICONOSCE LEGITTIMO REQUISITO PENSIONISTICO PER LICENZIAMENTO COLLETTIVO PERSONALE

Da:http://www.diritto.net/francesco-colaci/33151-cassazione-riconosce-legittimo-requisito-pensionistico-per-licenziamento-collettivo-personale.htmlPDFPrintE-mail

Autore: francescocolaci
  

 SI RICHIAMA L’ATTENZIONE SULLA SOTTOSTANTE SENTENZA 01 MARZO 2013, N. 5143 CON CUI LA CORTE DI CASAZIONE IN MERITO AD UNA  PROCEDURA DI RIDUZIONE COLLETTIVA  DEL PERSONALE E MESSA IN MOBILITA ATTIVATA DA POSTE ITALIANE  HA RICONOSCIUTO LEGITTIMO  IL CRITERIO ,CONCORDATO CON LE OO.SS. ,DEL    POSSESSO DEI REQUISITI PENSIONISTICI DA PARTE DEL PERSONALE PER INDIVIDUARE LE UNITA DA COLLOCARE IN MOBILITA’

Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 6 marzo 2007, accogliendo l’impugnazione proposta da V.A. avverso la decisione del Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro del 6.2.2003, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato all’appellante in data 18.11.2001 da Poste Italiane spa a seguito di una procedura di riduzione del personale ai sensi della L. n. 223 del 1991 condannando la società a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro nonché al risarcimento del danno nella misura pari alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino alla effettiva reintegra, oltre gli accessori di legge.
Ad avviso della Corte territoriale il criterio convenzionalmente adottato dalle parti collettive di consentire il licenziamento di coloro che erano in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia presupponeva la individuazione di lavoratori in esubero in relazione alle esigenze tecniche organizzative aziendali non potendo ritenersi legittimi i licenziamenti di quei dipendenti che, seppur in possesso del predetto requisito, tuttavia risultavano estranei alle posizioni lavorative eccedenti, come accaduto nel caso in esame.
Per la cassazione dì tale sentenza propone ricorso le Poste Italiane spa affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso V.A. che ha anche presentato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con l’unico articolato motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, nonché insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e alla individuazione dei settori aziendali interessati dalla procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4.
La ricorrente contesta il ragionamento del giudice d’appello secondo il quale il requisito della maturazione del diritto alla pensione, prescelto dalle parti sociali nell’accordo dell’ottobre del 2001, non può prescindere dall’esistenza di posti di lavoro in esubero. Secondo la tesi della Corte d’appello di Roma l’individuazione dei lavoratori da porre in mobilità dovrebbe, quindi, avvenire in modo che essi siano individuati nell’ambito dei settori o dei reparti in relazione ai quali siano prospettate e riscontrate le situazioni di eccedenza, così da esprimere un nesso eziologico tra le esigenze tecnico – produttive e la scelta del personale, mentre attraverso il criterio concordato le parti avrebbero solo inteso limitare la scelta ad una categoria di personale eccedentario, indipendentemente dalla preventiva definizione della collocazione aziendale degli esuberi.
Nel censurare tale ragionamento la ricorrente evidenzia che, in spregio alla “ratio” della L. n. 223 del 1991, il giudice d’appello ha in realtà fornito una interpretazione che contempla una compressione della possibilità per le parti sociali di raggiungere un accordo e che finisce per precludere alle stesse, coinvolte nella procedura di cui all’art. 4 della predetta legge, la disamina della situazione economica ed organizzativa dell’intero complesso aziendale o, almeno, l’utilità’ di quella disamina, dal momento che, nell’interpretazione fatta propria dal medesimo giudicante, l’accordo non potrebbe mai riguardare settori non dichiarati eccedentari dal datore di lavoro. In definitiva, secondo la ricorrente, la tesi adottata dalla Corte territoriale si pone in violazione, oltre che della L. n. 223 del 1991, art. 5 anche dell’art. 39 Cost. comma 1 che contiene una garanzia della libertà di contrattazione collettiva, tanto più rilevante ove, come nella specie, dello stesso legislatore a delegare all’autonomia collettiva un intervento regolamentare. Basti pensare, aggiunge la difesa delle Poste, che ove il criterio di scelta della prossimità alla pensione dovesse essere applicato solo su alcuni settori aziendali e non su tutta l’azienda, come espressamente chiarito negli accordi sindacali, il numero dei lavoratori da porre in esodo sarebbe considerevolmente inferiore a quello necessitato e preventivato.
Si assume, altresì, che l’impugnata decisione è errata in quanto valorizza eccessivamente il sindacato giurisdizionale sul profilo causale del licenziamento collettivo, senza considerare che, nella giurisprudenza e nella dottrina dominante, tale sindacato sfuma nella verifica del rispetto della procedura e dei criteri di scelta convenuti. A riprova di tale assunto la stessa difesa si riporta alla lettera di apertura della procedura L. n. 223 del 1991, art. 4 del 25 giugno 2001, che prevedeva esplicitamente che l’esigenza di riduzione del personale si sarebbe riverberata in tutto il contesto nazionale ed avrebbe riguardato tutto il personale, poiché trovava fondamento nell’esigenza indifferibile di ricondurre il costo del personale nelle sue varie componenti, attraverso sia la ridistribuzione territoriale delle risorse in relazione alle esigenze organizzative, sia, comunque, attraverso la riduzione del numero di addetti, entro livelli più coerenti con la propria situazione economica e gestionale. E rispetto a quest’esigenza, conclude la ricorrente, che doveva essere valutato l’ambito di operatività dei criteri di scelta e la sussistenza del nesso causale.
Viene, quindi, posto il seguente quesito di diritto:”Avuto riguardo al fatto che nell’accordo di definizione della procedura ex L. n. 223 del 1991 le parti abbiano convenuto la licenziabilità di tutto il personale in possesso dei requisiti pensionistici, è necessario che l’applicazione del predetto in fase di attuazione dei recessi tenga comunque conto di un necessario nesso eziologico tra le esigenze tecnico-produttive e la scelta del personale e che quindi i soggetti da porre in mobilità siano individuati nell’ambito di settori o reparti in relazione ai quali siano state prospettate e riscontrate situazioni di eccedenza o è possibile l’applicazione del criterio a tutto l’organico aziendale, ovunque esso risulti applicato?”
Preliminarmente, va rilevato che il motivo è ammissibile, contrariamente a quanto eccepito dal resistente, in quanto i profili relativi alla denunciata violazione di norme di diritto sono stati correttamente delineati e risultano sintetizzati anche nel quesito diritto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c. “ratione temporis” ancora applicabile al ricorso in esame. Quanto al lamentato vizio di motivazione si osserva che avendo un diverso e specifico oggetto per investire il solo iter argomentativo della impugnata decisione, richiede una illustrazione, che sia libera da qualsiasi rigidità formale, ma che nello stesso tempo si concretizzi in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza di motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. n. 4556 del 25/02/2009; Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007 n. 20603; Cass. 7 aprile 2008 n. 8897; Cass. 20 febbraio 2008 n. 4309). Orbene, nel caso in esame risulta bene individuato il fatto controverso rispetto al quale la motivazione di assume essere insufficiente.
Nel merito il motivo è fondato.
Invero, come questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. n. 6284 del 18.3.2011; Cass. n. 4653 del 26/2/2009) “in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione”.
Tra l’altro questi precedenti ribadiscono un orientamento costante di questa Corte in tema di controllo giudiziale da esercitarsi sulla regolarità procedimentale del licenziamento collettivo e sul rispetto dei principi di non discriminazione, di razionalità e di obiettività dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nella determinazione negoziale degli stessi criteri. Si è, infatti, precisato (Cass. sez. lav. n. 21541 del 6/10/2006) che “in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex ante” alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo) ma la correttezza procedurale dell’operazione (ivi compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso), con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato complessivo principio, ha confermato la sentenza impugnata con la cui congrua e logica motivazione era stata adeguatamente rilevata la sussistenza delle condizioni procedimentali per far luogo alla procedura di licenziamento collettivo in dipendenza dell’emergenza delle esigenze oggettive, richieste dalla legge, di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, il cui accertamento di fatto sfuggiva alle censure del ricorrente fondate essenzialmente sul rilievo della divergenza tra la situazione rilevata con la comunicazione iniziale di apertura della procedura di mobilità e quella di fatto sussistente al momento conclusivo, in cui furono adottati i provvedimenti di recesso)”. Si è, inoltre, chiarito che “in materia di licenziamenti collettivi – come sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 1994 – la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (che si traduce in accordo sindacale che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell’approvazione dell’unanimità), poiché adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla L. n. 300 del 1970, art. 15 ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità oltre a dover essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori. Deve, conseguentemente, considerarsi razionalmente adeguato il criterio della prossimità al trattamento pensionistico con fruizione di “mobilità lunga”, oltretutto menzionato come esempio nella suddetta sentenza costituzionale, stante la giustificazione costituita dal minore impatto sociale dell’operazione e il potere dell’accordo di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, di sostituire i criteri legali e di adottare anche un unico criterio di scelta, a condizione che il criterio adottato escluda qualsiasi discrezionalità del datore di lavoro” (Cass. sez. lav. n. 9866 del 24/4/2007). Si è, ulteriormente, ribadito (Cass. sez, n. 21541 del 6/10/06 conforme a Cass. sez. n. 20455 del 21/9/06) che “in materia di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l’individuazione dei destinatari del licenziamento può anche essere unico e consistere nella prossimità” a pensionamento, purché esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro”. D’altronde, nella fattispecie in esame, non può non rilevarsi l’assenza di qualsiasi elemento suscettibile di far paventare l’esistenza di un intento discriminatorio da parte della società datrice di lavoro, essendo innegabile l’equità di un sistema di riduzione del personale incentrato sull’esigenza di una più efficiente riorganizzazione dell’impresa non disgiunta da quella di addossare la ricaduta degli effetti negativi della riduzione stessa sui soggetti che, per essere prossimi a pensione, hanno la capacità economica di ammortizzare meglio detti effetti, ed essendo certo che la società aveva prospettato che l’individuazione dei lavoratori da verificare doveva avvenire in relazione alle esigenze tecnico – produttive dell’intero complesso aziendale. Alla luce di tali precisi e costanti orientamenti della Corte deve, quindi, osservarsi che il controllo giurisdizionale esercitato da giudice d’appello è andato oltre i limiti delineati dalla L. n. 223 del 1991, in quanto il medesimo non ha limitato la propria indagine alla correttezza procedurale dell’operazione, ma si è spinto a punto di esigere, contrariamente al contenuto degli accordi sindacali, che non aveva alcuna rilevanza il fatto che in tali accordi fosse stato previsto il licenziamento di tutto il personale che, alle date fissate nel detto accordo, si fosse trovato nel possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia (come per il V.A.), in quanto tale prescrizione riguardava l’applicazione del criterio concordato e non l’individuazione dei settori eccedenti in cui il criterio stesso avrebbe dovuto operare.
In particolare tale ragionamento, che finisce per parcellizzare il concetto stesso dell’intero ambito aziendale, è contraddetto proprio da un precedente di questa Corte che ha avuto modo di affermare che “in tema di collocamento in mobilità, l’individuazione dei lavoratori da verificare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico – produttive dell’intero complesso aziendale, e ciò anche in base alla definizione di “personale abitualmente impiegato” – aggiunta, significativamente, al testo originario del D.Lgs. n. 151 del 1997, art. 1 (in attuazione della direttiva del Consiglio CEE n. 175/129 del 17 febbraio 1975, aggiornata dalla successiva direttiva n. 92/56 del 24 giugno 1992), secondo cui il riferimento ai profili professionali da prendere in considerazione sono anche quelli propri di tutti i dipendenti potenzialmente interessati (in negativo) alla mobilità, tra i quali potrà, all’esito della procedura, operarsi la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità L. n. 223 del 1991, ex art. 5″ (Cass. sez. lav. n. 12719 del 29/5/2006).
Alla luce di quanto esposto il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, per cui la domanda del lavoratore va rigettata.
Motivi di equità, dovuti sia alla natura della lite che alla qualità di parte più debole del rapporto rivestita dall’intimato, inducono la Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda dell’originario ricorrente, compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

 

Calcola la data di pensione


Da:http://www.businessvox.it/strumenti/43-riforma-pensioni-calcola-la-tua-nuova-data-di-pensione#axzz2NL8DpYUD




La Riforma Fornero introduce una rivoluzione nel sistema pensionistico: abolite le pensioni di anzianità si andrà in pensione anticipata con almeno 41 anni e 5 mesi per le donne e 42 e 5 mesi per gli uomini dal 2013. Innalzati a 66 anni i requisiti per la pensione di vecchiaia. Vai all'infocalcolatore.
La riforma delle pensioni ha prodotto molti cambiamenti sul sistema pensionistico italiano. Si tratta della terza modifica nell'arco di poco più di anno che ha rimescolato le carte un po' per tutti. L'impianto di quest'ultimo intervento, introdotto dall'art 24 del Decreto Salva Italia (Dl 201/2011) è particolarmente importante ed è orientato a ridurre in modo stabile e duratura l'incidenza della spesa pensionistica sui conti pubblici italiani.
Il Rapporto con le precedenti riforme pensionistiche
Innanzitutto è opportuno ricordare che la Riforma Fornero non si applica a tutti coloro che abbiano maturato i requisiti per andare in pensione secondo la disciplina previgente entro il 31 Dicembre 2011. Chi ha raggiunto la quota 96 o i 40 anni di contributi o 60 anni di età (quest'ultimo solo per il pensionamento di vecchiaia per le lavoratrici donne del settore privato autonome o dipendenti) entro tale data non sarà interessato dalla Riforma anche se continuerà a rimanere sul posto di lavoro.
Abolizione delle finestre di uscita 
La riforma ha abolito le finestre di uscita in pensione, quelle che posticipavano di 12 mesi per i dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi l'effettivo pensionamento dalla data di maturazione dei requisiti minimi. La misura rende giustizia di un meccanismo subdolo di incremento occulto dei requisiti. La finestra viene tuttavia "incorporata" innalzando il maturato contributivo minimo per accedere alla pensione anticipata. Con l'abolizione delle finestre, dal 2012, la decorrenza della pensione scatta dal primo del mese successivo alla data di maturazione dei requisiti (salvo il comparto scuola dove è fissata dal mese di settembre dell'anno in cui si raggiungono i requisiti).
Pensione di Vecchiaia
Il requisito minimo per ottenere la pensione di vecchiaia viene portato a 66 anni di età e 20 anni di contribuzione accreditata. E' subito in vigore dal 2012 per tutti gli uomini e per le donne del pubblico impiego mentre arriverà a regime nel 2018 per le donne del settore privato attraverso il seguente schema di elevazione (lo schema è redatto al netto dell'adeguamento all'aspettativa di vita Istat)
annodipendentiautonome
20126263,5
201463,564,5
20166565,5
20186666

L'accesso alla pensione di vecchiaia può essere prolungato fino al 70° anno di età e fruire in tal modo di un miglior coefficiente di calcolo delle quote di pensione contributiva (dato che è commisurato alla speranza di vita del pensionando)
Solo per chi aderisce al sistema contributivo puro, cioè chi è entrato nell'universo della previdenza obbligatoria dopo il 31/12/95, la pensione di vecchiaia deve risultare di importo superiore al valore di 1,5 volte l'Assegno Sociale 2012, rivalutato negli anni successivi con l'andamento medio del Prodotto Interno Lordo. All'età di 70 anni il requisito minimo di anzianità necessaria al pensionamento viene ridotto da 20 anni a soli 5 anni e decade il vincolo sull'importo rispetto all'Assegno Sociale
Pensioni di Anzianita'
Sono abolite le pensioni di anzianità (quelle di quota 96 e quelle con solo 40 anni di contribuzione) e sono sostituite dalla cosiddetta pensione anticipata. Per conseguire la pensione anticipata bisogna possedere dal 2014 contributi pari a 41 anni e 3 mesi per le donne, e 42 anni e 3 mesi per gli uomini. C'è tuttavia un pò di gradualità per i primi due anni della riforma: per il 2012 sono 2 mesi in meno, per il 2013 un solo mese in meno rispetto ai sopracitati limiti vigenti dal 2014.
Tuttavia c'è un sistema di penalizzazione per chi non ha compiuto i 62 anni. Se la decorrenza della pensione avviene per età inferiori al 62°, sulla quota di pensione corrispondente ai contributi accreditati sino al 2011 si applica una penalizzazione di 1% per ogni anno e frazione antecedente il 62° anno di età al momento del pensionamento e un ulteriore 1% per ogni anno e frazione antecedente il 60°. Il Dl 216/2011 ha tuttavia sterilizzato la penalizzazione per i lavoratori precoci stabilendo che questa non si applica per coloro che maturino i requisiti contributivi entro il 31 Dicembre 2017.
Deroghe
La Riforma ha disposto anche alcune deroghe:
- In via eccezionale i lavoratori dipendenti del settore privato che matureranno quota 96 ( 60 anni di età e 36 di contributi o 35 anni di contributi e 61 anni di età) entro il 31 Dicembre 2012 potranno ottenere la pensione anticipata all'età di 64 anni. Similmente le donne dipendenti del settore privato che potranno vantare 20 anni di contribuzione e 60 anni di età compiuti entro il 31/12/2012, possono ottenere la pensione di vecchiaia all'età di 64 anni
- viene inoltre mantenuta la possibilità di accedere alla pensione con 57 anni e 35 anni di contributi per le lavoratrici donne che optino sino al 31 Dicembre 2015 per il sistema contributivo pro rata
- per i lavoratori addetti a lavori particolarmente faticosi e pesanti restano sostanzialmente valide le regole di favore di cui al Dlgs 67/2011
- per i lavoratori entrati nel mondo del lavoro dopo il 31.12.95 viene stabilito che potranno andare in pensione all'età di 63 anni se piu' favorevole rispetto alla disciplina generale
- 120 mila soggetti salvaguardati potranno invece continuare in via straordinaria a mantenere valide le previgenti regole di pensionamento.
Adeguamento all'aspettativa di vita
Viene inoltre stabilta la cadenza biennale dell'aggiornamento degli adeguamenti agli incrementi della speranza di vita successivi a quello effettuato con decorrenza 1° gennaio 2019, secondo le modalità previste dall'articolo 12 del D.L. 78/2010. Le cadenze di revisione sono nel 2013, 2016, 2019 e successivamente a frequenza biennale. Il primo incremento non può eccedere i tre mesi e quelli successivi saranno tali da maturare approssimativamente 3 anni 9 mesi di incremento alla soglia del 2050
Avvertenze
  • Il programma calcola il regime di accesso e delle decorrenze delle pensioni a partire dal 1° Gennaio 2012 in base alle innovazioni introdotte dal Decreto Salva Italia (Dl 201/2011 convertito con legge n. 214/2011), dal decreto milleproroghe (Dl 216/2011 convertito con legge 14/2012), dalla circolare per i dipendenti privati Inps (Circ. n. 35/2012) e da quella per idipendenti pubblici (Circ. n. 37/2012), dalla disciplina relativa ai lavori usuranti (Dlgs 67/2011) aggiornata con le modifiche apportate dal Salva Italia.
  • Il programma non calcola invece il pensionamento per coloro che hanno maturato i requisiti entro il 31.12.2011 in base alle previgenti norme pensionistiche e non tiene al momento conto dei soggetti che sono salvaguardati (esodati, mobilitati, autorizzati ai volontari etc..) che potranno nei limiti di determinate risorse andare in pensione secondo le regole vigenti al 31.12.2011
  • Il programma consente di verificare l'uscita con o senza la prosecuzione dell'attività lavorativa e il regolare accredito dei contributi. Per calcolare la data di uscita per un lavoratore il cui accredito contributivo è fermo è sufficiente selezionare "si" nel campo "la contribuzione si arresta"
  • Il programma calcola anche il pensionamento flessibile di cui all'articolo 24, comma 11 del Dl 201/2011 per i lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 31.12.1995
  • Il programma evidenzia sempre la data effettiva di pensionamento più vicina. Se sono presenti penalizzazioni il programma riporta approssimativamente la decurtazione potenziale a cui si andrebbe incontro. E' possibile anche escludere la penalizzazione tramite l'apposito comando: in tal caso viene riportata la prima data utile di pensionamento che non comporta alcuna decurtazione. Se si accetta la penalizzazione il programma consente ulteriormente di escludere o meno anche il pensionamento tramite l'opzione donna ai sensi dell'articolo 1, comma 9 della legge 243/04. La predetta opzione comporta infatti una penalizzazione sull'importo per il passaggio al sistema totalmente contributivo.
  • Nel calcolo viene considerata l'opzione offerta alle lavoratrici (fino al 2015) di conseguire a 57-58 anni la pensione di anzianità nel sistema contributivo. Il sistema calcola solo - sulla base di quanto dichiarato dalla circolare Inps n. 35/2012 - le pensioni che decorrono entro il 31 Dicembre 2015.
  • contributi validi ai fini dell'esclusione della penalizzazione, come definiti nel milleproroghe, sono esclusivamente quelli da prestazione effettiva da lavoro compresi i periodi di astensione obbligatoria per maternita', per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria. A questo scopo non valgono, ad esempio, i contributi da riscatto nè da altra contribuzione figurativa.
  • Il programma al momento considera invece tutti effettivi i contributi ai fini del pensionamento flessibile a 63 anni, del pensionamento di vecchiaia, del pensionamento tramite opzione donna e usuranti, anche se in realtà in questo caso andrebbero esclusi quelli figurativi per disoccupazione ordinaria e malattia.
  • Si ricorda che nei lavori usuranti e nel pensionamento nel regime sperimentale donna sono rimaste in vigore le finestre mobili pari a 12 o i 18 mesi  rispettivamente per dipendenti e autonomi.
  • Il programma tiene conto delle precisazioni nella Circolare n 35/2012 Inps che hanno adeguato alla speranza di vita anche il pensionamento in deroga a 64 anni di cui all'articolo 24, comma 15-bis, Dl 201/2011 (che dunque si raggiungerà a 64 anni e 3 mesi fino al 31.12.2015 e a 64 anni e 7 mesi dal 2016).
  • Dal 2013 entrano in vigore le norme che innalzano automaticamente i requisiti di età in base all'allungamento dell'aspettativa di vita. I nuovi requisiti non sono noti del tutto e qui si sono adottati quelli relativi allo scenario demografico istat anno 2007 utilizzati per nella relazione tecnica alla Riforma Fornero.
  • Per i lavori usuranti, in cui è ancora in vigore ai sensi del Dlgs 67/2011 il pensionamento tramite le cd. "quote", il programma tiene conto della possibilità di maturare la quota anche tramite le frazioni di anno. Per determinare le frazioni di anno: a) l’età viene determinata in giorni partendo dal giorno successivo a quello della nascita fino al giorno della maturazione del requisito anagrafico. Il risultato viene quindi trasformato in anni dividendo il numero dei giorni per 365. Il dato viene poi arrotondato al terzo decimale; b) l’anzianità contributiva viene tasformata da settimane in anni dividendo il numero delle settimane per 52 ed effettuando anche in questo caso l’arrotondamento al terzo decimale. A tal punto viene effettuata la somma verificando se, alla fine di ciascun mese, è stata raggiunta la quota necessaria per il pensionamento.
  • Per i lavoratori del settore scuola la finestra di uscita coincide sempre con l'inizio dell'anno scolastico, quindi il primo settembre dell'anno in cui maturano i requisiti.
  • Il calcolo viene effettuato sino al 31.12.2049, anno ultimo in cui è possibile avere dati relativi alla speranza di vita.
  • Per ulteriori chiarimenti o per segnalare anomalie, basta una mail a: labs@businessvox.it

Calcola quando andrai in Pensione

Il seguente strumento consente di determinare la data piu' vicina di pensionamento dal 1° Gennaio 2012.

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Pensione di anzianità mediante totalizzazione: necessari tutti i requisiti richiesti dall'ordinamento previdenziale forense


La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 393 del 21 settembre 2012, si è recentemente pronunciata sui presupposti per poter accedere alla pensione di anzianità mediante totalizzazione, ritenendo che debbano sussistere tutti i requisiti richiesti dai singoli ordinamenti previdenziali e, dunque, anche da quello previdenziale forense, che prevede, per poter accedere alla pensione di anzianità, la cancellazione dagli albi.
Si rammenta, al riguardo, che il D.Lgs. n. 42/2006 ha introdotto la possibilità di utilizzare l’istituto della totalizzazione anche per la pensione di anzianità (stabilendo la necessità della sussistenza di una valida contribuzione per almeno quaranta anni e la decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda di pensione). Si è dunque posto il problema se, ai fini dell’ammissione al trattamento pensionistico di anzianità mediante la totalizzazione, è necessaria la cancellazione da tutti gli albi forensi, come previsto per l’ordinaria pensione di anzianità.
Si è sostenuto, al riguardo, che l’art. 1 del D.Lgs. 42/2006 non prevede, per l’applicabilità dell’istituto dell’anzianità con totalizzazione, anche la previa cancellazione dall’albo e ciò in quanto tale normativa costituirebbe una disciplina speciale che introduce specifici requisiti per l’accesso alle prestazioni previdenziali quali ad esempio il compimento del 65° anno di età, indifferentemente per uomini e donne, il mancato richiamo alle finestre d’accesso di cui all’art. 59 della Legge 449/97, ecc.
Ciò premesso, va rilevato che l’art. 1 del D.Lgs. 42/2006, come modificato dalla L. 247/2007, nel prevedere la facoltà di cumulare i periodi assicurativi non coincidenti di durata non inferiore a tre anni, al fine del conseguimento di un’unica pensione, testualmente recita che la detta facoltà può essere esercitata a condizione che: “a) il soggetto interessato abbia compiuto il 65° anno di età e possa far valere un’anzianità contributiva almeno pari a venti anni ovvero, indipendentemente dall’età anagrafica, abbia accumulato un’anzianità contributiva non inferiore a quaranta anni; b) sussistano gli ulteriori requisiti, diversi da quelli di età ed anzianità contributiva, previsti dai rispettivi ordinamenti per l’accesso alla pensione di vecchiaia”.

Pensioni, il comparto sicurezza attende il regolamento di armonizzazione

 Da:http://www.businessvox.it/il-professionista-risponde-previdenza/28905-pensioni-il-comparto-sicurezza-attende-il-regolamento-di-armonizzazione#axzz2NL8DpYUD


Sono un dipendente dell'arma dei carabinieri e vorrei sapere quando potrò accedere alla pensione di anzianità con la nuova normativa fornero. Sono nato nel 1956 e ho 33 anni di contributi. E' vero che devo attendere 67 anni?  Francesco Colantuono da Firenze
Dal 1° Gennaio 2012 la vecchia pensione di anzianità è stata abolita ed è stata sostituita dalla nuova “pensione anticipata” che richiede il requisito contributivo di 42 anni ed 1 mese per gli uomini e 41 anni ed 1 mese per le donne. Tali requisiti subiscono l’aumento di quattro mesi nel 2013 e di un ulteriore mese nel 2014.  Nel settore pubblico, però, alcune categorie continuano ad applicare ancora i vecchi criteri per il pensionamento di anzianità.
 
In particolare ricordo che gli appartenenti alla Polizia di Stato, il personale dell'Arma dei Carabinieri e quello della Guardia di Finanza maturano il diritto alla pensione di anzianità con i seguenti requisiti: 57 anni di età e 35 anni di anzianità, 53 anni di età con la massima anzianità contributiva prevista dall’ordinamento di appartenenza, 40 anni di contributi. Da tener presente che dal 1° gennaio 2013 i requisiti anagrafici si sono incrementati di 3 mesi.
La decorrenza della pensione risulta fissata con le vecchie decorrenze: 12 mesi dalla data di maturazione dei suddetti requisiti. Se i 40 anni sono raggiunti dall’anno 2012, ai 12 mesi per la decorrenza devono essere aggiunti 1 mese nel 2012, 2 mesi nel 2013 e 3 mesi nel 2014. 
 
I vecchi requisiti rimarranno in vigore fin quando non sarà approvato il regolamento di armonizzazione del comparto sicurezza. Lo schema di regolamento innalzerà i requisiti per la pensione anche per questa categoria di lavoratori. 


PENSIONATI DIRITTI

(Riunisce la voce delle Istituzioni ed il parere di qualificati esperti in tema di PENSIONI)