venerdì 28 dicembre 2012

Più contributi, meno pensione. La speranza di vita allontana l’assegno. I nuovi requisiti dal 1° gennaio

Da:http://www.sivempveneto.it/leggi-tutte-le-notizie/11532-piu-contributi-meno-pensione-la-speranza-di-vita-allontana-lassegno-per-tutti-i-nuovi-requisiti-dal-1d-gennaio.html
1a1a1a_0a01aaa111apensionetraguardo-258Pensione sempre più lontana. Tre mesi almeno, per tutti, dal prossimo Capodanno. È l’effetto della cosiddetta «speranza di vita» che il prossimo 1° gennaio verrà ufficializzata per la prima volta, e porta con sé l’adeguamento dei requisiti di tutte le pensioni (dm 6 dicembre 2011). La speranza di vita è un particolare automatismo che prevede l’aggiornamento continuo dei requisiti di pensionamento. In pratica, con essa si fa dipendere l’accesso alla pensione dalla probabilità di vita e di morte (questa è la speranza di vita), misurando, statisticamente, la probabilità che un uomo e una donna di 65 anni hanno di campare ancora: se la probabilità cresce (se cioè aumentano gli anni ancora attesi di vita), anche l’età di pensionamento si allontana della stessa misura; se decresce tutto resta stabile (non c’è diminuzione).
Vediamo i nuovi requisiti operativi dal prossimo anno, tenendo presente che, per effetto della riforma Fornero a partire da quest’anno sono scomparse le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità che sono state sostituite da due sole prestazioni: la «pensione di vecchiaia» e la «pensione anticipata».
La (nuova) pensione di vecchiaia
Occorre distinguere se il lavoratore ha o meno degli anni di contributi già versati al 31 dicembre 1995 (data che rappresenta lo spartiacque tra pensioni in regime «retributivo» e pensioni in regime «contributivo»). La differenza non è di poco conto, ma concerne i criteri per l’accredito contributivo e la condizione di raggiungere un importo «minimo». Il requisito di età è lo stesso, invece, in entrambi i casi. Oltre questo, esiste poi l’alternativa valida per tutti i lavoratori (sia quelli che anno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 sia quelli che a tale data avevano già dei contributi versati), ossia quella di andare in pensione a 70 anni, con un minimo di contributi (5 anni) all’unica condizione che si tratti di contributi «da lavoro», cioè con esclusione di figurativi ed altri diversi da quelli derivanti da attività di lavoro.
La (nuova) pensione anticipata
Anche in questo caso occorre distinguere se il lavoratore ha o meno degli anni di contributi già versati al 31 dicembre 1995. Le vie di uscita in tutto sono tre: una per i vecchi lavoratori (quelli con anni di contribuzione pagata al 31 dicembre 1995) e due per quelli giovani (senza anni di contribuzione pagata al 31 dicembre 1995). Per i primi (lavoratori vecchi), e solo per loro, opera un particolare meccanismo punitivo che colpisce chi riesca ad andare in pensione prima dei 62 anni di età. In pratica, sulla quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate al 31 dicembre 2011 viene applicata una riduzione dell’1% per ogni anno di anticipo nell’accesso alla pensione rispetto all’età di 62 anni; tale percentuale annua è elevata al 2% per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni. In altri termini, la riduzione è dell’1% per ciascuno degli ultimi due anni mancanti al compimento di 62 anni (per esempio il lavoratore che accede alla pensione anticipata a 60 anni subisce una riduzione del 2%, ovvero, 1 + 1%) e al 2% per ciascuno degli anni mancanti al compimento dei 60 anni (per esempio il lavoratore che accede alla pensione anticipato a 58 anni subisce una riduzione del 6%, ovvero, 1 + 1 + 2 +2%). Nel caso in cui l’età di pensionamento non sia intera la riduzione percentuale è proporzionale al numero di mesi.
La riduzione si applica sulla quota di pensione calcolata con il sistema retributivo; pertanto a coloro che hanno un’anzianità contributiva:
- pari a 18 anni al 31 dicembre 1995, la riduzione si applica sulla quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate al 31 dicembre 2011;
- inferiore a 18 anni al 31 dicembre 1995, la cui pensione è liquidata nel sistema misto, la riduzione si applica sulla quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate al 31 dicembre 1995.
La penalizzazione non trova applicazione ai soggetti che maturano il requisito contributivo entro il 31 dicembre 2017, qualora l’anzianità contributiva derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per obblighi di leva, per infortunio, malattia e cassa integrazione guadagni ordinaria.
Lo scenario
Quando il ministro Elsa Fornero lascerà l'incarico di governo, potrà legittimamente rivendicare di aver portato a compimento il percorso di consolidamento del sistema previdenziale già iniziato da Maurizio Sacconi. Ora i conti dell'Inps e delle Casse autonome di previdenza sono certamente più sostenibili di qualche anno fa.
L'altro lato della medaglia è che le pensioni, per chi lavora, si allontanano sempre di più, costano sempre di più e gli importi sono sempre più ridotti. Il 1° gennaio 2013 sarà una data da ricordare sia per i professionisti sia per i lavoratori dipendenti. Per le casse privatizzate scattano, infatti, una serie di riforme necessarie per adeguare i bilanci al criterio della sostenibilità a 50 anni.
Imponendo questa esigenza la Fornero è riuscita a ottenere che tutte le casse allungassero gli anni di lavoro necessari per andare in pensione, aumentassero i contributi e riducessero gli assegni dei futuri pensionati. Oggi un giovane professionista ha come orizzonte pensionistico i 70 anni, mentre la percentuale dei propri guadagni che deve versare all'ente di previdenza continua a crescere in modo sempre più veloce.
Non che i lavoratori dipendenti stiano meglio. È vero che riescono ad andare in pensione qualche anno prima, ma i loro contributi sono decisamente più alti di quelli dei professionisti. E anche per loro il 1° gennaio porterà solo brutte notizie: assegni previdenziali ridotti del 2% rispetto a chi è andato in pensione nei tre anni precedenti e addirittura del 7% rispetto a chi ci è andato nel 2009.
E non solo. Sempre dal 1° gennaio bisognerà lavorare tre mesi in più: è l'effetto dell'applicazione del meccanismo di adeguamento alla cosiddetta speranza di vita. Siccome si vive più a lungo, bisogna anche lavorare di più. Difficile contestare la logica dei numeri che spinge i responsabili degli enti di previdenza a scelte sempre più dolorose.
C'è un solo problema: a essere penalizzati sono solo i giovani, mentre chi è già in pensione, per effetto del principio della salvaguardia dei diritti acquisiti, affermato anche di recente dalla Corte costituzionale per annullare alcuni contributi di solidarietà imposti a pensionati, può permettersi veramente di vivere in un altro universo. Dove il rapporto tra contributi versati e pensioni ricevute è inesistente. Dove non bisogna tener conto della sostenibilità degli enti di previdenza.
Dove chi è entrato può guardare chi gli paga la pensione dall'alto in basso. Questa è l'eredità, che rischia di diventare ogni giorno sempre più drammatica, degli ultimi due ministri del lavoro. Non a caso, quasi la metà dei risparmi consentiti dalle ultime riforme previdenziali è stata bruciata per salvaguardare gli esodati. 
ItaliaOggi - 17 dicembre 2012

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