lunedì 29 ottobre 2012

VITE IN ATTESA


Dietro il neologismo “esodato” si nascondono storie di persone in cerca di risposte. Chi sono? Quale futuro li aspetta? Quanti sono? Questi alcuni degli interrogativi che da mesi aspettano chiarezza senza che, ad oggi, ce ne sia
“La piccola azienda dove lavoravo ha chiuso i battenti due anni fa perché ‘espulsa’ dal mercato, come si dice oggi. Anche noi cinque dipendenti siamo stati espulsi insieme con la nostra azienda. Siamo stati tutti espulsi dal mercato, ma in un certo senso anche dalla vita. Sono stato autorizzato alla contribuzione volontaria convinto di raggiungere il requisito per la pensione di anzianità. Nel frattempo avevo trovato lavoro per alcuni mesi. Ma in base al Decreto sugli ‘esodati’ sono escluso dal pensionamento perché ho lavorato dopo l’ammissione alla contribuzione volontaria. E così sono stato espulso anche dalla legge. E ora cosa faccio?”.

È questo uno stralcio di una delle lettere inviate al Patronato Acli da uno dei tanti esodati.
Ma quanti sono gli esodati? E cosa hanno fatto il Governo e le forze politiche per venire incontro alle loro esigenze?
La parola “esodati” evoca riferimenti biblici, ma mentre per il popolo ebraico l’Esodo indicava un percorso di liberazione dalla schiavitù, per gli esodati di oggi indica spesso un percorso verso il senso di schiavitù che vive chi deve dipendere da altri per mancanza di un reddito.
Si tratta di persone che hanno lavorato molti anni, spesso anche più dei “mitici” 35 anni che per tanto tempo hanno segnato la soglia per avere la pensione di anzianità.
Ma la Riforma Fornero, contenuta nel "decreto Salva Italia", ha allontanato le soglie della pensione, innalzando l’età per il pensionamento di vecchiaia ed elevando il requisito contributivo per la pensione anticipata, come è stata ribattezzata la vecchia pensione di anzianità.
In particolare, per la pensione anticipata è stato stabilito un requisito base di 42 anni di contributi per gli uomini, e 41 per le donne. A tale requisito base vanno aggiunti 1 mese per il 2012, 2 mesi per il 2013 e 3 mesi per il 2014: si ottiene così un requisito che potremmo definire complessivo.
Ma non basta: al requisito complessivo occorre aggiungere i mesi dovuti all’allungamento della cosiddetta speranza di vita: si tratta di 3 mesi in più negli anni dal 2013 al 2015, ma si prevede che aumentino di altri 4 mesi dal 2016. Insomma, un vero rompicapo!
“Che cosa vuol dire speranza di vita?” ci ha chiesto una lavoratrice incuriosita da un’espressione che a prima vista sembra infondere fiducia nel futuro.
Vediamo tutti, nelle nostre famiglie, che l’età media della vita si è allungata, talvolta anche di parecchio, ma l’augurio a tutti di buona salute e di vita lunga deve necessariamente fare i conti con uno Stato che è tenuto a garantire a tutti la pensione finché si è in vita.
Poiché la speranza di vita si è allungata, e le risorse non sempre sono sufficienti, le riforme degli ultimi 20 anni hanno gradualmente spostato in avanti nel tempo l’inizio del pensionamento, al punto che la legge prevede ormai l’adeguamento periodico dell’accesso al pensionamento, in relazione all’allungamento del tempo medio di vita registrato dall’Istat.
L’adeguamento alla “speranza di vita” viene applicato anche per le pensioni di vecchiaia: la Riforma Fornero ha stabilito inoltre che dal 2021 l’età pensionabile non potrà essere inferiore a 67 anni.
Nello “tsunami” che ha investito il sistema pensionistico c’è chi ha subito danni maggiori di altri: si tratta delle categorie di lavoratori che sono stati battezzati come esodati perché avevano già avviato il percorso dell’esodo dal mercato del lavoro per approdare, nel giro di qualche tempo, al sospirato pensionamento.
Il "decreto Salva Italia" aveva previsto che le regole non cambiassero, tra l’altro, per 50.000 lavoratori, anche se per loro il diritto alla pensione sarebbe maturato dopo il 2011.
Si tratta di lavoratori che al momento del varo della legge si trovavano in particolari condizioni, perché collocati in mobilità, interessati da contratti di solidarietà, ammessi a versare contribuzione volontaria (i cosiddetti prosecutori volontari), o altro ancora. In sede di conversione in legge del Decreto, oltre ad una parziale revisione delle categorie di lavoratori interessati, era stata eliminato il riferimento al numero di 50.000 lavoratori, ma era stata stabilita in circa 5 miliardi la copertura di spesa per pagare le pensioni degli esodati, rinviando ad un successivo decreto ministeriale l’esposizione del numero delle persone interessate.
Dopo un balletto di cifre tra ministero del Lavoro e Inps, il Decreto aveva stabilito che gli esodati erano 65.000, ma tale numero comprendeva solo i lavoratori che sarebbero andati in pensione nel giro di pochi anni.
È stata quindi varata una norma successiva, contenuta nella legge dispending review, che ha stanziato altri 4 miliardi per finanziare il pensionamento di altri 55 mila lavoratori che sarebbero andati in pensione successivamente.
Ma il balletto di cifre non si è arrestato: c’è infatti chi ha affermato che gli esodati non sono meno di 200 mila, altri che ritengono più verisimile il numero di 300 mila.
Al di là dei numeri, va considerato che ci si trova di fronte a persone che avevano immaginato di andare in pensione fidandosi di regole che poi sono state cambiate.
Si è avuta ben presto la sensazione che non solo ministero del Lavoro e Inps non erano in grado di dare i numeri con certezza, ma che le norme non erano ispirate a criteri di equità.
Particolarmente iniqua, ma anche di dubbia legittimità, si è rivelata, ad esempio, la norma del decreto ministeriale che ha circoscritto il numero degli esodati prosecutori volontari ai soli lavoratori che non avevano ripreso a lavorare successivamente alla data di autorizzazione a tale forma contributiva. È il caso del lavoratore di cui abbiamo proposto le parole. Ma se ne potrebbero citare altri.
Di fronte a tali problemi cosa hanno fatto le forze politiche? Alla Camera sono state presentate tre proposte di legge tendenti ad ampliare la platea degli esodati esclusi: una delle proposte aveva come primo firmatario Cesare Damiano (Pd) ed era stata firmata anche da Giuliano Cazzola (Pdl).
Le tre proposte sono state unificate in un testo che la Commissione lavoro della Camera, ai primi di agosto, ha approvato quasi all’unanimità, con l’eccezione dell’onorevole Giuliano Cazzola, e con il parere contrario del Governo, particolarmente riferimento alla copertura finanziaria, quantificata in circa 5 miliardi da reperire tramite giochi pubblici on line, e lotterie istantanee.
La discussione è iniziata nell’Aula di Montecitorio l’8 ottobre, ma è stata rinviata in Commissione a causa di dubbi sulla copertura finanziaria, che la Ragioneria generale dello Stato ha stimato in circa 30 miliardi. Il ministro Elsa Fornero, intervenuta nei giorni successivi, ha affermato che la situazione degli esodati va riesaminata caso per caso, rilevando inoltre la difficoltà di conoscere con precisione il numero preciso delle persone che potrebbero rientrare nella categoria.
Il succedersi degli eventi fa emergere la penosa mancanza di certezza per numerose migliaia di lavoratori che, pur credendosi al riparo di un quadro normativo, si sono visti cambiare le “regole del gioco” a pochi anni dalla pensione.
Se si fosse agito secondo equità si sarebbe dovuto considerare prima il numero dei lavoratori potenzialmente interessati, e poi decidere le priorità dei pensionamenti.
Occorre dunque dare certezze, perché non si possono trattare con approssimazione questioni che riguardano la vita di lavoratori che per tanti anni hanno contribuito con le loro energie al progresso e allo sviluppo del Paese.
(da Azione sociale 4/2012)

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